21 giugno 2019, Pavia, Corte d’Assise ove si svolge il processo all’imputato Vitaly Markiv accusato della morte di Andrea Rocchelli e del suo interprete Mironov.
Sono passati due anni dal giorno dell’arresto del sergente Vitaly Markiv quando rientrò in Italia usufruendo di un permesso per visitare i suo genitori. Due anni in carcere che devono essere sembrati infiniti ma con la consapevolezza che essendo innocente e trovandosi in Italia, prima o poi la verità sarebbe emersa.
Alle 10:45 ha preso la parola il Principe del Foro italiano Raffaele Della Valle, colui che non ha esitato a dichiarare che ci stavamo trovando di fronte ad un nuovo caso “Enzo Tortora”, caso che lui conosce molto bene essendone stato il difensore di fiducia.
Della Valle in questi lunghi mesi di udienze ha sempre tenuto un profilo basso, non ha mai attaccato frontalmente i testi dell’accusa anche quando questi dichiaravano cose contrastanti o inverosimili, lui aveva probabilmente già in mente mesi fa, quale sarebbe stata la sua arringa difensiva. Ogni elemento che confermava l’innocenza di Markiv, veniva catalogato nel suo archivio mentale, elemento dopo elemento si andava componendo il puzzle.
Ieri ha mostrato alla Corte questo puzzle nella sua forma completa e come d’incanto la nebbia che aveva permeato in mesi quest’aula si è diradata, tutto a tutti è apparso finalmente chiaro, probabilmente anche all’accusa e ai genitori di Rocchelli.
Della Valle era apparso un po’ teso prima della sua arringa, appariva come un gladiatore che attendeva di entrare nell’arena, forse perché si tratta di uno dei processi più importanti della sua splendida carriera, sicuramente perché è lui stesso completamente convinto dell’innocenza del suo assistito. Non ha mai fatto mistero che per lui si tratta anche di una battaglia a favore del Diritto sua stella polare nella ultra cinquantennale carriera, Diritto che negli ultimi tempi sembra essere stato messo in secondo piano da Pubblici Ministeri che lui ha definito usare il “metodo ipercritico” o dalla quantità di Fakenews che circondano molti importanti processi, ove l’imputato viene prima esposto alla gogna mediatica con l’obiettivo di preparare quell’humus in aula che faccia passare in secondo piano le regole del Diritto e lasci spazio alle libere interpretazioni o alle percezioni individuali.
Questo processo è stato un caso scolastico in tal senso, un’accusa che indaga a senso unico tralasciando tutte le piste alternative che non rispondono al proprio teorema, un circo mediatico organizzato ad arte con l’unico obiettivo di far figurare da subito Markiv come “l’assassino”.
Il gladiatore Della Valle inizia lento, sa che la sua arringa sarà lunga (alla fine quasi sette ore) ed usa la metafora della maratona per descrivere alla Corte quale sarà il percorso lungo e difficile che dovranno fare insieme a lui. Affronta tutti i temi e smonta pezzo per pezzo il teorema, in certi punti ridicolizzando prima l’avvocato difensore Ballerini e in altri il giovane Pubblico Ministero forse troppo attratto dall’idea di trovare UN colpevole e non IL colpevole. Parla di come si sia fatta disinformazione riguardo la mancata collaborazione delle autorità ucraine esponendo tutti gli atti ricevuti dalla Procura e facendo rilevare che la Procura di Pavia si è sempre rifiutata di accettare l’invito in rogatoria a recarsi sulla scena del crimine.
Già dall’inizio si possono cogliere importanti segnali all’interno dell’aula, non c’è ad esempio la TV russa (che aveva seguito le precedenti udienze), non ci sono i giornalisti che avevano supportato in questi mesi le teorie accusatorie mettendoci del loro nel descrivere i miti e gentili genitori di Markiv ed i loro amici come un’accolita di violenti neonazisti. Mano a mano che l’arringa di Della Valle procede si vede una famiglia Rocchelli sempre più sola, l’avvocato Ballerini si allontana dall’aula così come anche i rappresentanti della FNSI. Questa è forse l’immagine più triste della giornata, una famiglia che ha perso un figlio utilizzata a sua insaputa per scopi di altri che nulla avevano a che vedere con la ricerca della verità, lasciata sola quando è oramai evidente che il Titanic ha incontrato il suo Iceberg. Della Valle riserva uno dei primi passaggi proprio per la famiglia Rocchelli e rivolgendosi verso di loro dice “Credere nell’innocenza di Markiv non significa essere avversari di Rocchelli” ed ancora “Nessuno di noi intende proporre l’indecente argomento che Rocchelli se l’è andata a cercare. I giornalisti e il loro interprete erano animati da calore umano e passione, tutti noi glielo riconosciamo. Nell’orgoglio della loro professione vi è l’andare là dove si sta facendo la storia“
L’Iceberg Della Valle snocciola una ad una tutte le incredibili incongruenze mostrate dall’accusa e fa emergere più volte che la sua difesa si basa proprio sulle dichiarazioni dei loro testi, dichiarazioni che l’accusa non ha avuto la capacità di analizzare a fondo e rendersi conto che aveva montato un teorema indimostrabile. Spiega con dovizia il perché noi abbiamo sempre sostenuto che a sparare furono i “filorussi” e non l’esercito ucraino sulla collina e lo fa riprendendo le dichiarazioni di Roguellon, principiale testimone dell’accusa. E’ lui infatti a dire che “sparavano dalla nostra sinistra” ed alla loro sinistra non c’erano gli ucraini ma le milizie filo russe. Sono le stesse foto del Taxi crivellato a dimostrare che i colpi erano partiti dalla base della collina e non dall’alto, sono gli stessi giornalisti (Fauci e Morani), con i loro comportamenti, a testimoniare che Markiv non gli aveva certo confessato di aver ucciso i giornalisti. Infatti una cosa non emersa nelle precedenti udienze è che Fauci aveva incontrato Markiv, dopo la morte di Rocchelli, andandolo a trovare in ospedale e chiedendogli se gli procurava un giubbotto antiproiettile, un comportamento non certo compatibile nel caso Markiv avesse “confessato” al Fauci di aver ucciso il suo amico reporter. Della Valle poi mostra alla corte l’articolo apparso sulla pagina Web del Corriere della Sera nel 2014 a firma della Morani ed urla “Siamo qui per questo articolo!!! Un ragazzo è in carcere da due anni per questo articolo!!”, infatti l’accusa fece partire e basando unicamente l’indagine su Markiv in base a quell’articolo. Il Principe del Foro smonta parola per parola quell’articolo dimostrando che era un mix di conoscenze e fantasie romanzate per poi essere pubblicate sul giornale che gli stava pagando la trasferta. “Il capitano”, “la torre di avvistamento”,”comandava la difesa della città”, le difformità di tempo e luogo ove avrebbe ascoltato quella telefonata in viva voce, la sua stessa ammissione scritta in un altro articolo che forse erano solo sue supposizioni, che lei stessa ammette di avere una “memoria che fa le bizze”. Chiede retoricamente come mai la Morani era stata “risentita” dalla PG dopo essere stata sentita dal Pubblico Ministero, procedura alquanto inusuale sottolineata anche dallo stesso PM, e rispondendosi cita Totò (altro Principe, ma della risata) “accà nisciuno è fesso” nel senso che chiaramente quell’audizione fu fatta verosimilmente per indottrinare la giornalista.
Col passare dei minuti cresce l’attenzione dei giurati e sui loro visi si dipinge l’immagine di chi finalmente comincia a vederci più chiaro. Il gladiatore non sente la fatica, è al centro dell’arena le fiere che non sono scappate stanno ai suoi piedi ferite ma lui non infierisce. Alla fine dirà che oggi ha vinto il Diritto, quel bene imprescindibile per qualsiasi Democrazia, quel bene che ha guidato tutta la sua vita. Sono le diciotto quando il Gladiatore esce dall’Arena e percorre un tratto tra le due ali di una piccola folla che gli tributa un lungo applauso, è visibilmente stanco quanto emozionato.
A Pavia si è assistito ad uno scontro epocale, tra chi interpreta il Diritto in una versione moderna, tecnologica, ma priva di qualsiasi aspetto umano e chi è detentore di una tradizione classica fatta di testa, cuore ed emozioni, perché le cose si devono analizzare nel contesto ove accadono, si deve voler scavare sotto la superficie, andare oltre a “googlemaps” ed al “gps”, si deve insomma “strofinare i cervelli” per andare oltre le apparenze.
Un pensiero personale va ai genitori di Andrea Rocchelli che spesso ho guardato durante le udienze. Ho visto in loro i miei genitori qualora il fato mi riservasse lo stesso destino di Andy durante uno dei miei reportage al fronte. Ho provato rabbia pensando che sono stati usati e tirati per la giacchetta da persone che non erano in realtà alla ricerca della verità. Spero che avranno la forza per continuare a combattere per arrivare ad una verità giuridica, ma per far questo dovranno accettare il fatto che bisogna guardare in un’altra direzione, in quella direzione che da subito ponemmo in evidenza, bisognerà ripartire da Igor Girkin, colui che comandava le operazioni a Sloviansk, colui che mandò dei militari all’ospedale a sequestrare il materiale fotografico di Roguelon, colui che era acerrimo nemico di Andrei Mironov, il dissidente russo che aveva denunciato i crimini di guerra in Cecenia dove Girkin era implicato. Purtroppo è verosimile che l’obiettivo dell’agguato fosse proprio Mironov e che Rocchelli fu una vittima casuale. Tale tesi è supportata anche dal fatto che come ammette lo stesso Roguelon, quando si stava allontanando dalla zona su una macchina rossa fu raggiunto da una sventagliata di Ak47 che non andò a segno.
Dopo venticinque mesi di incubo si avvicina la data del 12 luglio quando verrà letta la sentenza, data che a meno di un sovvertimento del Diritto Penale vedrà il proscioglimento di Vitaly Markiv e questa volta sarà lui ad uscire dall’arena tra due ali di folla e potremo dire finalmente “Missione Compiuta”, quella missioni iniziata due anni fa quando pubblicammo il primo articolo sulla vicenda. Noi ci saremo e siamo sicuri che anche tante persone italiane ed ucraine saranno là fuori a tributare la loro ammirazione verso un eroe di Ucraina che in questi duri anni ha sempre fatto ben figurare il suo Paese ed il suo Popolo.
Mauro Voerzio