Egregio Mario Calabresi,
In altri tempi avrei esordito in questa lettera scrivendo che sono sorpreso e costernato dall’aver letto un simile articolo da lei firmato. Oggi dopo anni di studio sulle nuove guerre ibride e disinformazione in generale, non posso che prendere atto che questo lavoro arriva al momento giusto e segue una narrativa già ampiamente conosciuta. Non le starò qui a fare il pistolotto sulla deontologia professionale e il fuoco sacro che dovrebbe ardere in un giornalista per la ricerca della verità, queste cose lasciamole alle occasioni ufficiali e alle comparsate nei talk show. Proviamo a parlarci come se fossimo al bar, senza orecchie indiscrete, senza minacce di avvocati ed altre amenità simili che oramai inquinano tutta la nostra società.
– Carta dei doveri del giornalista (8 luglio 1993) –
“In tutti i casi di indagini o processi, il giornalista deve sempre ricordare che ogni persona accusata di un reato è innocente fino alla condanna definitiva e non deve costruire le notizie in modo da presentare come colpevoli le persone che non siano state giudicate tali in un processo”.
Io credo che il suo lavoro su Andy Rocchelli e Vitaly Markiv sia una risposta (nel caso volontaria si tratta di disinformazione, nel caso di involontarietà siamo di fronte ad un caso di misinformation) al lavoro dei giornalisti di “The wrong place” (tra l’altro lei cita proprio questa terminologia relativamente al fatto che Andy si possa “essere trovato nel posto sbagliato”). Questi giornalisti, come lei ben sa, hanno fatto un vero lavoro di giornalismo investigativo durato mesi. Sono andati sulla scena del crimine ed hanno simulato le affermazioni della Corte di Pavia. Hanno dimostrato che quanto scritto in sentenza è fisicamente impossibile. Il documentario è stato finanziato in crowfunding, perché nessuna delle grandi testate nazionali, compresa la sua, ha mai voluto spendere un euro per inviare qualcuno sul posto a verificare la veridicità di certe affermazioni.
Il documentario “The wrong place” è in uscita e pertanto era necessario proporre qualcosa che contrastasse le evidenze che vengono proposte, ed era necessario farlo con un pezzo da novanta. Come lei ben sa, nelle dinamiche delle guerre ibride e della disinformazione, un ruolo centrale lo giocano gli “endorsement” che vengono forniti in maniera cosciente e volontaria oppure in maniera incosciente quando si tratta di misinformation.
Il ruolo dell’endorser è quello, in questo caso, di fare tabula rasa del lavoro di altri giornalisti che non hanno il suo CV. E’ chiaro che dopo questa sua “ricerca” sui fatti di Kharachun, il documentario verrà visto con occhi differenti e riporterà l’ago della bilancia verso le narrative russe che lei ha molto ben utilizzato nel suo pezzo.
Devo ammettere che l’operazione empatia amplifica la potenza del suo lavoro, Nico ricorda molto Mario Calabresi bambino (almeno a me personalmente ha dato questa impressione) “Il giorno in cui Andy veniva ucciso suo figlio Nico compiva tre anni. Mariachiara aveva ricevuto una mail da Andy al mattino presto, si sarebbero sentiti la sera per gli auguri. Aveva portato il bambino al parco della preistoria e poi a una festa sul fiume. Li li avrebbe raggiunti la notizia. Domenica 24 maggio Nico festeggierà nove anni”. Se invece questa cosa non era voluta, bisogna ammettere che questa chiusura di pezzo è stata molto fortunata e di grande impatto.
Nel mio libro che ho pubblicato recentemente sulle guerre ibride, spiego come normalmente I debunker e coloro che si occupano di contrastare la disinformazione operano. Generalmente quando vi sono degli articoli o notizie sospette le si devono vivisezionare aldilà dei loro contenuti e ricercare se vi sono contenute le parole chiave della narrativa ricercata.
Così ho letto attentamente il suo pezzo ed ho ritrovato le stesse narrative proposte dalla Russia in questi anni su questo caso e riportate poi da vari giornalisti (che va ricordato si sono costituiti parte civile nel processo, alla faccia della ricerca della verità).
Gliene cito alcune senza stare qui a riproporre il debunking. Stopfake si occupa dall’inizio del caso Markiv e sul nostro sito può trovare tutte le informazioni necessarie, che dimostrano come il suo articolo sia infarcito di narrative russe legate a questo caso.
“lo stato ucraino, dopo molti solleciti, rispose spiegando che nessuno aveva visto nulla”
Falso, dimostrato durante il processo che lo Stato ucraino ha collaborato con gli inquirenti ed addirittura proposto agli inquirenti italiani di recarsi sul posto per effettuare un incidente probatorio, richiesta rifiutata dagli inquirenti italiani che hanno risposto che era sufficiente Google maps
“aveva seguito sui social la rivolta dei giovani di Kiev contro Mosca”
Falso: La rivoluzione della dignità non era contro Mosca ma contro le leggi incostituzionali emanate dall’ex Presidente Yanukovich che si era rifiutato di firmare il trattato di adesione economica con l’Unione Europea. Non erano “I giovani di Kiev” ma il popolo ucraino di tutte le città e villaggi.
“gli investigatori individuano che quel 24 maggio è sulla collina in posizione di vedetta”
Falso: non è stato individuata la posizione ne si è dimostrato dove fosse Markiv quel giorno.
Durante la trasmissione televisiva “Piazza Pulita” su LA7 andata in onda giovedì 14 maggio lei ha definito la Guardia Nazionale Ucraina una “milizia paramilitare“, affermazione ovviamente falsa, ma che evidenzia il suo sentiment verso l’Ucraina
“sparato da un altro italiano tornato a far la Guerra nel suo paese di origine”
Falso: la sentenza parla genericamente di concorso in omicidio perchè non è stato possibile identificare chi e da dove è stato sparato il colpo, anzi è stato dimostrato che Markiv in tutta la sua carriera non ha mai sparato un solo colpo di mortaio.
“in un imboscata mirata a eliminare I giornalisti scomodi come lui”
Falso: non è stata dimostrata questa affermazione (ed era impossibile dimostrarlo in quanto I due giornalisti e l’interprete non avevano segni distintivi e si mischiavano in mezzo ai separatisti filo russi che al tempo parte di loro combatteva in abiti civili)
Come vede, sono molti i motivi che mi farebbero propendere che il suo lavoro si inserisca in un’ottica ben precisa, in un solco tracciato tempo fa. Ci sono troppi errori perché sia solo un caso di multiple inesattezze. Guarda a caso tutte le inesattezze si sposano perfettamente con le parole chiave utilizzate in questi anni di disinformazione dal Cremlino.
E’ ovvio che lei non leggerà mai questa mia missiva, io sono stato come Andy un freelancer in questa sporca guerra e fortunatamente non sono diventato un hashtag spendibile nella guerra ibrida. Si è anche dimenticato di intervistare un personaggio chiave di questa faccenda, la giornalista Morani che con il suo articolo ha dato il via a questa caccia alle streghe. Era un articolo simile al suo, pieno di inesattezze e cose inventate, così come si è dimenticato di chiedere a Fauci perché fosse andato a trovare Markiv in ospedale alcuni mesi dopo i fatti chiedendogli il piacere di procurargli un giubbotto anti proiettile, un comportamento alquanto strano per un giornalista mantenere una relazione amicale con l’assassino del suo collega.
Sarà un caso ma la maggior parte di chi come me è stato su quella maledetta collina ed era presente quando la guerra divampava, crede fermamente che la sentenza di Pavia sia un abominio giuridico e non faccia onore alla memoria di Andy e Andrey.
Tendo purtroppo, a volte, di dimenticarmi della differenza tra giornalismo e guerra ibrida, tendo a pensare come un investigatore alla ricerca di più pezzi del puzzle senza un teorema predefinito, assetato di conoscenza della verità, ed è questo forse il motivo per cui noi piccoli giornalisti che assurgiamo alla notorietà solo quando diventiamo spendibili, siamo destinati a perdere.
Nella guerra ibrida la verità è un orpello inutile, spesso fastidioso.