In un articolo di giugno 2015, la figlia maggiore di Boris Nemtsov, esternava le sue critiche ai media statali russi, facendo un parallelo con i propagandisti nazisti e accusandoli di “seminare l’odio” che porta alla violenza. Un’articolo ed una dichiarazione passata sotto traccia in occidente, ma sempre più di grande attualità anche in Italia alla luce dell’incremento della disinformazione che si registra nel nostro paese mano a mano che ci si avvicina alle elezioni.
“La propaganda russa uccide”, scriveva Zhanna Nemtsova nell’articolo pubblicato dal quotidiano russo Vedomosti il 9 giugno. “Non solo uccide la ragione e il buon senso, letteralmente uccide”.
Nell’articolo di Vedomosti, la Nemtsova sosteneva che i media di stato condividono la responsabilità dell’omicidio di suo padre, ex vice primo ministro liberale, parlamentare e governatore regionale, che era diventato uno dei più importanti critici del presidente Vladimir Putin.
L’uccisione di Nemtsov è stata una “vendetta politica” per la quale i dirigenti della TV di stato “che per molti anni hanno incitato metodicamente all’odio verso di lui e altri leader dell’opposizione, ritraendoli come ‘traditori nazionali’, hanno responsabilità personale”.
La Nemtsova paragonava la propaganda di stato russa alla retorica dei media nella Germania nazista e a quella del Ruanda del genocidio, sottolineando il ruolo svolto dai media di stato durante le uccisioni di massa del 1994 nel paese africano, “una simile campagna statale di lavaggio del cervello di massa” si è svolta in Russia negli ultimi anni, contrapponendo una parte della popolazione contro un’altra. Le macchine informatiche di Putin – simili a quelle della Germania nazista e del Ruanda – utilizzano metodi criminali di propaganda e seminano odio che genera violenza e terrore.
“Al posto dei tutsi si rivolge contro i liberali, le figure dell’opposizione, l’Occidente, la” giunta di Kiev “, mentre “i patrioti russi” interpretano il ruolo degli hutu” .
Nemtsov si oppose apertamente al coinvolgimento russo nella guerra scoppiata tra le forze governative e i separatisti filo-russi nell’Ucraina orientale dopo che Yanukovych fuggì in Russia, e stava lavorando a un rapporto che documentava la morte dei soldati russi in Ucraina quando fu ucciso.