A più di tre anni di distanza dall’inizio della guerra in Ucraina molti aspetti legati alla stessa rimangono poco conosciuti al grande pubblico: si tende a semplificare le dinamiche che l’hanno generata, a ignorare la storia dell’area e si cade spesso vittima di vere e proprie fake news. Abbiamo deciso di intervistare Massimiliano di Pasquale, profondo conoscitore della realtà del Paese, per fare un po’ di chiarezza sulla vicenda e le sue ripercussioni
1. Nel 2013, pochi mesi prima dell’inizio del conflitto in Ucraina, è uscito “Ucraina on the Road”, il resoconto del tuo viaggio in un Paese da te descritto come sospeso tra Europa e Russia. A distanza di quattro anni cosa è cambiato?
Il libro – si tratta del secondo libro sul Paese, perché prima era uscito “Ucraina terra di confine” (2012) – fa riferimento al viaggio effettuato nel 2012. Mi fu chiesto di aggiornare la Ukraine Bradt Travel Guide, una guida turistica in inglese. Per tale ragione viaggiai per circa 40 giorni in Ucraina – accompagnato da un amico. Era un viaggio, dunque, nell’Ucraina del 2012. Essendo tornato nel Paese anche l’anno successivo ho inserito anche qualche impressione derivante dalla visita del 2013, qualche mese prima dell’inizio di Euromaidan. L’Ucraina, da allora, è cambiata tantissimo. Maidan e la guerra in Donbas l’hanno trasformata: c’è stato un mutamento di prospettiva – con una maggiore spinta per l’integrazione con l’Occidente – e c’è la grande forza trasmessa dalla Rivoluzione della Dignità – e paradossalmente anche dall’invasione russa che ha coagulato il Paese. Non esiste più un’Ucraina divisa tra Est e Ovest – tra l’altro, la dialettica di un Est russofono e un Ovest ucrainofono è sempre stata semplificatrice e per certi versi fuorviante, a differenza di quella città-campagna che invece è ottima cartina al tornasole per
leggere le specificità culturali e antropologiche di questa terra. Putin, paradossalmente, è stato uno dei principali fattori unificanti. Il Paese è completamente stravolto, abbiamo assistito a una vera e propria rivoluzione copernicana. Certo le riforme non procedono sempre velocemente – sicuramente non velocemente quanto vorrebbe l’UE o gli stessi ucraini –, occorre fare di più sul fronte della lotta alla corruzione, ma l’Ucraina ha aderito all’accordo di associazione con UE e sono stati fatti significativi passi in avanti verso lo stabilimento di una liberal-democrazia in senso occidentale. Inoltre i cittadini si riconoscono nei valori dell’unità nazionale, come dimostrano le tantissime manifestazioni in città considerate, prima, filorusse. Indubbiamente, l’Ucraina del mio libro è, in parte, un Paese che non esiste più.
2. Durante il tuo viaggio precedente alla “Rivoluzione della Dignità” avevi avuto qualche sentore di ciò che stava per accadere? Qual è la ragione principale che ha condotto a un mutamento così repentino?
Parlando con la gente avevo compreso che il malcontento era enorme soprattutto dopo quello che era avvenuto nel 2012. Nel giugno 2012, prima delle elezioni parlamentari di ottobre, Yanukovych, per ingraziarsi l’elettorato russofono, aveva fatto approvare una legge sulle minoranze linguistiche che era in realtà un escamotage per concedere al russo lo status di lingua ufficiale. Alle elezioni parlamentari la vittoria del Partito delle Regioni (30%) che, grazie all’alleanza con i comunisti di Symonenko (13%), riuscì a ottenere la maggioranza dei 450 seggi della Rada, fu in definitiva il frutto di un voto caratterizzato da gravi irregolarità (frodi e falsificazioni in sede di voto e conteggio) e dalla reintroduzione di una legge elettorale “ibrida”. La stessa legge che nel 2002 aveva permesso all’ex presidente Leonid Kuchma, sconfitto al proporzionale, di assicurarsi la maggioranza parlamentare, consentì a Viktor Yanukovych di mantenere il potere saldamente nelle proprie mani. Con il sistema elettorale precedente, l’opposizione avrebbe vinto. Gli ucraini avevano dato a Yanukovych l’ultima chance: firmare l’accordo di integrazione con UE. La retromarcia improvvisa sullo stesso, nel novembre del 2013, dà inizio a tutto. Quella firma avrebbe inserito l’Ucraina in un sistema di regole che avrebbe potuto sconfiggere, perlomeno in parte, la corruzione – anche se i livelli erano talmente elevati che probabilmente tutti sapevano che fosse una speranza quasi vana – e rimettere il Paese sulla giusta via dello sviluppo. Svanita anche quest’ultima possibilità per gli ucraini non è rimasta altra via che il Maidan.
3. Alcuni analisti e politici – come E. Lucas nel libro The New Cold War o J. McCain prima, durante e dopo la sua corsa alla presidenza americana contro Obama – avevano messo in guardia verso una Russia sempre più revanscista. Sono stati, sostanzialmente, ignorati. Per quale ragione?
Non è facile rispondere a questo quesito. Si può dire, ad esempio, che quello che Lucas, in modo profetico, ha scritto, ha avuto la sua manifestazione empirica già con la guerra in Georgia (2008). “La Nuova Guerra Fredda” infatti uscì un anno prima del conflitto ma, nonostante ciò, fu ignorato e/o osteggiato. I motivi sono molti: ragioni di opportunismo politico, atavica paura di irritare la Russia, la preoccupazione, soprattutto in Italia, di essere tacciati di filoamericanismo o russofobia quando si critica Mosca. Sicuramente c’è stata una sottovalutazione di questo pericolo. Non è un caso che i moniti di Lucas siano stati recepiti solamente in Paesi come la Polonia e i Baltici che conoscevano benissimo la minaccia russa e sapevano quanto fosse reale. Poco dopo la guerra in Georgia, chiesi a Graziosi – storico e sovietologo di fama internazionale, persona colta e preparata – se avesse senso parlare di nuova guerra fredda come sosteneva Lucas. Mi rispose che parlare di guerra fredda in quel momento era una sciocchezza incredibile. E parliamo di un accademico serio, uno dei pochi in Italia che ha studiato approfonditamente l’Unione Sovietica. Sergio Romano, da sempre su posizioni filorusse, bollò quella di Lucas come una provocazione. In realtà questo atteggiamento aggressivo da parte della Russia inizia a manifestarsi chiaramente intorno al 2004/2005 quando l’Ucraina vive la Rivoluzione Arancione. Mosca inizia ad avere paura di uno scenario di una società aperta, liberale e democratica e teme una rivoluzione colorata sulla Piazza Rossa. È da quel momento che comincia a intensificarsi anche tutta l’azione di propaganda e iniziano a diffondersi letture geopolitiche di un certo tipo – come quella dell’Eurasia di Dugin, teorico prima messo in disparte. Il libro di Lucas doveva essere illuminante ma, in Italia, è stato letto come una provocazione antirussa. In realtà, addirittura Lucas ha sottostimato alcune questioni in quanto pensava soprattutto a possibili azioni russe nel campo economico e cibernetico.
4. Quello che è successo è stato, dunque, più grave di ciò che Lucas pronosticava. Secondo te, oggi, c’è consapevolezza di quanto successo sia a livello di opinione pubblica che di decision-maker?
Assolutamente no. Anzi, è sconcertante come a destra e a sinistra – oltre che tra i populisti – sia presente la retorica della “Russia umiliata”, degli “ucraini fascisti”… sono in pochi a raccontare quello che è realmente successo in modo obiettivo. L’Italia non ha capito cosa è successo in Ucraina anche perché l’informazione non c’è stata. Ora devo raccontare questo aneddoto. Ai tempi di Euromaidan, venivo intervistato dai media quasi ogni giorno perché sapevano che ero una persona che si occupava da anni di Ucraina e la conoscevo bene. Da quando la Russia ha invaso la Crimea non mi hanno più chiamato né in radio né in televisione e anche i giornali con cui collaboravo accampavano le scuse più improbabili per rifiutare la mia collaborazione. Ora, improvvisamente sono diventato uno che non sa più niente? Probabilmente, dava fastidio il fatto che raccontavo una realtà molto diversa da quella dei media mainstream che, come dimostrato nel mio articolo per Strade, spesso trasmettono linee vicine a Mosca. Il fatto di essere bombardati ogni giorno da cattiva informazione ha fatto sì che in Italia la gente non sa cosa è successo, ma non è colpa loro! Colpiti dalla disinformazione, che viene persino dai media mainstream, sarebbe difficile aspettarsi un esito differente.
5. Il 2016 è stato l’anno della “post-verità”. Le notizie false, distorte o propagandistiche hanno un peso nel modo attraverso il quale viene percepita la politica estera e interna della Federazione Russa nei Paesi occidentali? In che termini? Quali sono, brevemente, le strategie utilizzate da Mosca in questo campo?
Domanda molto interessante ma ci vorrebbe tanto per rispondere. Qui si entra davvero in un argomento immenso. Possiamo rifarci alla dottrina del generale russo Gerasimov: secondo lui l’information warfare ha lo stesso peso, se non superiore, di quello che possono avere le forze armate o l’aviazione. Ed è un’arma notevole perché è capace di creare molta confusione e incertezza nei Paesi colpiti, soprattutto quelli più vicini, storicamente, alla Russia. In Italia, ad esempio, ha funzionato e sta funzionando molto. Ricollegandoci anche a quanto detto in precedenza, l’azione di propaganda è aggravata dal fatto che l’Ucraina, da noi, è spesso stata vista quasi come un’appendice della Russia: nessun giornale o organo di stampa o tv ha mai avuto un corrispondente da Kyiv. La Russia, tra l’altro, è forte e ha preparato da tempo la guerra. Diversi centri di cultura italo-russa si sono trasformati, in questi anni, in veri e propri centri di propaganda. L’Italia, dunque, è diventato uno dei principali Paesi nel quale la propaganda russa ha attecchito maggiormente. Paradossalmente, anche in Paesi storicamente considerati più filorussi – come Francia e Germania – la propaganda ha attecchito molto di meno che da noi, perché gli organi di informazione hanno dato ampio spazio a una narrazione oggettiva di quanto accadeva in Ucraina. In Italia lo hanno fatto in pochi.
6. Qual è la situazione attuale nel Donbas e in Crimea?
Nel Donbas c’è una guerra che, tecnicamente, si potrebbe dire a basso livello di intensità – che, però, si alza ogni volta assistiamo a qualche successo da parte del governo di Kyiv: la sera della finale dell’Eurovision, ad esempio, c’è stato un attacco da parte di miliziani filorussi e proxies russi, la stessa cosa è accaduta il primo giorno in cui gli ucraini potevano viaggiare in Europa senza il visto. Ogni tanto, dunque, la tregua è interrotta da forti attacchi. La Russia, poi, non sta rispettando gli accordi di Minsk e, di conseguenza, è difficile ipotizzare una soluzione in breve tempo per il Donbas. In Crimea la situazione è diversa perché è stata presa e annessa – con un referendum non riconosciuto da nessuno, non legale dal punto di vista del diritto internazionale e in violazione del Memorandum di Budapest del 1994 – senza violenza. Ciò è stato possibile unicamente perché è stato ordinato – sotto pressioni sia dell’UE che degli Stati Uniti – alle truppe ucraine di ritirarsi senza combattere per paura che sarebbe scoppiata una guerra più estesa. Dal punto di vista economico la situazione è pessima: prima era una terra che viveva di turismo, ora è completamente militarizzata, i tatari sono stati quasi tutti cacciati, gli ucraini se ne stanno andando e la stanno ripopolando con persone che vengono dalla Russia – in maggioranza parenti di militari di stanza nella penisola. Questa è la situazione attuale in Crimea.
Fine prima parte