Nella giornata del 13 novembre 2019 si è svolta presso il Tribunale di Roma la prima, e visto gli eventi l’unica, udienza del processo che vedeva imputato Giulietto Chiesa per le accuse diffamatorie nei miei confronti profferite durante l’intervista al canale russo NewsFront nell’aprile 2017, intervista visibile sul web titolata “chi muove Mauro Voerzio”.
Non sto qui a ricordare la sequela delle affermazioni diffamatorie nei miei confronti, perché la cosa importante è che nella giornata di ieri Giulietto Chiesa ha ammesso in un’aula di Tribunale italiana che si trattava solo appunto di dichiarazioni diffamatorie che non avevano alcuna fondamento di verità, erano semplicemente narrative con le quali tentava di danneggiare pubblicamente la mia immagine nella speranza, forse, che dopo quella intervista avrei terminato la mia attività giornalistica in Ucraina.
Giulietto Chiesa ha riconosciuto la propria responsabilità in relazione alla contestazione di diffamazione aggravata mossa dalla Procura di Roma a seguito della mia querela ed ha chiesto lui stesso di patteggiare per evitare il processo e assai verosimilmente una condanna molto severa.
Insomma, alla prova dei fatti, dopo aver più volte rifiutato un confronto pubblico sulle tematiche che ci hanno visti divisi in questi anni, ha preferito battere in ritirata e non tentare nemmeno di giustificare in aula alcuna delle sue strampalate tesi di cui mi accusava. Ha insomma preferito esser condannato penalmente piuttosto che dover rispondere a delle domande in un’aula di Tribunale.
Sono stati due anni e mezzo difficili perché le sue dichiarazioni mi hanno effettivamente provocato notevoli disagi, sul lavoro, in ambito familiare fino alle minacce di morte ricevute nonché a strani episodi di cui sono stato oggetto e che ho debitamente segnalato alla Digos.
Dopo quella sua intervista sono stato anche inserito dai servizi segreti italiani in una lista di persone attenzionate e questo mi comporta che ogni volta che rientro nello spazio Schengen vengo sottoposto a dure misure di sicurezza da parte degli organi di polizia, misure che oltre ad essere spiacevoli per me stesso hanno contribuito ad indurre amici e conoscenti a non viaggiare più con me o a chiedermi di dire ai controlli di frontiera che sto viaggiando da solo.
Rendo pubbliche queste cose per dar modo di comprendere come la disinformazione possa colpire qualsiasi cittadino e condizionargli la vita. Chi ha la responsabilità di informare, ha oggi tra le mani un’arma potentissima, può rovinare la vita ad altre persone, spesso impunemente, e utilizzare la propria posizione per rendere servigi utili ad altri.
Sputnik è stata spesso accusata di pubblicare molta disinformazione e Giulietto Chiesa è una importante firma di Sputnik Italia. Ora vi è una verità giuridica, perlomeno è stato dimostrato che uno dei giornalisti di Sputnik utilizza la disinformazione come arma. Ciò non dimostra che Sputnik pubblichi solo disinformazione, ma il dubbio che vi siano altri Giulietto Chiesa nella loro redazione è perlomeno condivisibile.
Aldilà della soddisfazione personale per l’esito del processo, voglio anche sottolineare come in Italia vi siano ancora ampi spazi di manovra, rispetto ad esempio la Russia, per la tutela dei propri diritti, pur con tutte le difficoltà del caso. Sono stato appeso a queste dichiarazioni per trenta mesi ma alla fine ho potuto dimostrare che tali affermazioni erano false, riacquistando la mia dignità e facendola perdere a chi quelle affermazioni le aveva fatte.
Infine voglio inviare un messaggio distensivo anche a Giulietto Chiesa e porgli una domanda. Gli voglio chiedere se ne vale la pena chiudere una lunga e dignitosissima carriera da giornalista nelle aule di Tribunale.
Aldilà della diversità di vedute il dovere principe di un giornalista è quello di informare e non disinformare. Possiamo essere su due fronti diversi (e grazie a Dio in una Democrazia questo avviene sempre) ma se abbiamo scelto di informare i cittadini non possiamo deformare la realtà a nostro piacimento o a piacimento di qualcun altro, verremo meno a quella ispirazione che dovrebbe muovere tutti noi che in qualche modo facciamo informazione, la ricerca della verità.
Il giornalista deve essere immune al bias di conferma, il giornalista è colui ricerca la Verità e non una verità che gli fa comodo, come un investigatore cerca IL colpevole e non UN colpevole. Tutti noi abbiamo dei filoni di inchiesta che spesso confermano quanto supponevamo, ma se siamo bravi giornalisti siamo anche in grado di ammettere pubblicamente quando le nostre teorie erano sbagliate, questo non ci rende più deboli anzi ci rafforza perché dimostra tutta la nostra personalità.
Mauro Voerzio