L’americana prima accusata e poi prosciolta al processo per la morte di Meredith Kercher, dopo aver trascorso 4 anni in carcere prima di essere completamente scagionata dall’accusa di omicidio ha dichiarato “Ho ancora paura di essere accusata ingiustamente. In carcere ho pensato al suicidio, ora vorrei incontrare il pm di Perugia” ed ancora “Il primo novembre 2007, un ladro di nome Rudi Guede è entrato nel mio appartamento e ha violentato e ucciso Meredith. Ha lasciato tracce di dna, poi è fuggito dal Paese, processato è stato infine condannato. Nonostante ciò un grande numero di persone non ha mai sentito il suo nome, questo perché pm, polizia e giornalisti si sono concentrati su di me. I giornalisti chiedevano di arrestare un colpevole. Hanno indagato me mentre Guede fuggiva. Non basandosi su prove o testimonianze”. “A causa dell’intervento dei media l’inchiesta è stata contaminata. Era impossibile avere per me un processo giusto. L’opinione pubblica non deve rispondere a nessuno, non ci sono regole se non che il sensazionalismo vince: nella Corte dell’opinione pubblica non sei una persona umana, sei un oggetto da consumare”
Parole che dovrebbero far riflettere perché l’Italia sembra non imparare nulla dai propri errori, da Enzo Tortora in poi. Oggi un caso simile sta avvenendo nel processo contro Vitaly Markiv accusato di essere “l’assassino di Andy Rocchelli” (così fu definito dalla quasi . totalità dei media italiani quando ancora non si conosceva nulla dell’indagine).
Proprio mentre in Italia il caso Palamara scuote le aule di giustizia (si con la g minuscola perché questa non è la Giustizia in cui credono gli italiani), dalla quale emerge che la vita delle persone è legata non alle loro azioni che dovrebbero essere giudicate, ma da elementi esterni che nulla hanno a che vedere con colpevolezza o innocenza. Alcuni processi si spostano, si manipolano, vengono gestiti da una “organizzazione, lobby, cricca, associazione” (scegliete il termine in cui vi riconoscete di più) a seconda degli interessi a cui devono rispondere. In tutto questo il Diritto, la Verità, la Giustizia sono orpelli di facciata da dare in pasto all’opinione pubblica.
Tutti sembrano impegnati alla “lotta alla disinformazione”, “Fakenews”, “pericoli per la Democrazia” ma poi tutti questi elementi li troviamo all’interno di un processo, dove un avvocato dell’accusa dichiara che in Ucraina “nel 2014 non vi era la guerra“… Certo, per lei Marte o l’Ucraina sono la stessa cosa, in entrambi i posti non ci è mai stata ed non ha alcuna nozione in merito, ma le sue affermazione servono per far condannare un innocente e introitare quasi due milioni di euro chiesti come risarcimento civile. Si sa, la verità è sempre una cosa relativa e spesso se ben costruita una bugia può diventare verità. Un innocente in carcere? Credete veramente che a qualcuno di questi personaggi coinvolti freghi qualcosa? Sanno esattamente come stanno le cose, hanno addirittura prodotto documenti falsi in aula per provare il loro teorema. Il loro unico obiettivo è arrivare alla condanna ed al conseguente risarcimento civile.
Da Amanda Knox a Vitaly Markiv due casi simili dove è più facile costruire il mostro, perché in entrambi i casi si tratta di uno straniero (nonostante Markiv abbia la doppia cittadinanza, il cognome tradisce le sue origini straniere o come dice qualcuno in questi giorni appartenente ad un “ceppo” differente). Dovrebbero invece essere allarmati tutti gli italiani, perché oggi tocca a Markiv, ieri ad Amanda ma domani potrebbero essere loro i destinatari di questa nuova giustizia creata sui media e dove nel dibattimento sembrano non avere alcuna importanza le prove presentate. Nessuno in questo sistema può sentirsi al sicuro. Tutti coloro che non possono controllare dei media o conoscere persone influenti sono esposte al pericolo di una giustizia “tailor made”, vestita a seconda del caso e del soggetto da colpire.
Amanda Knox e Vitaly Markiv sono due casi molto simili, oggi come allora serviva trovare un colpevole da dare in pasto all’opinione pubblica, con buona pace per chi ancora crede nel sistema giustizia.