Putin firma una legge che rende la rete russa indipendente dal resto del mondo. E la Cina ha già un progetto analogo: è la fine del sogno del World Wide Web?
Sovranità su internet e promozione della riforma della governance globale sul cyberspazio. Sono i punti principali del controllo della Cina sul web, che propone un modello di gestione della rete ritenuto interessante da un numero sempre maggiore di Paesi, a cominciare proprio dalla Russia, dove oggi Vladimir Putin ha firmato una legge in grado di rendere la rete russa indipendente dal resto del mondo.
La nuova legge, che entrerà in vigore il 1 novembre prossimo, ha come scopo quello di proteggere la Russia da restrizioni on line esterne, creando uno «stabile, sicuro e pienamente funzionale» internet locale attraverso un centro di gestione e monitoraggio sotto la supervisione di Roskomnadzor, l’agenzia per le telecomunicazioni di Mosca. Questa avrà tra i suoi compiti quello di tagliare il traffico internet con l’esterno nei casi di situazioni straordinarie. Secondo quanto riporta Russia Today, la legge permetterebbe alla Russia di non andare incontro a una chiusura di internet «nel caso di un collasso delle relazioni con l’Occidente e nel caso in cui gli Stati Uniti si spingano fino a un taglio degli indirizzi IP dal World Wide Web».
Già prima della firma della legge, il Cremlino aveva bloccato circa 80mila siti web e piattaforme social, tra cui la popolare app Telegram, secondo il gruppo di monitoraggio Roskomsvoboda: gli attivisti temono che con l’introduzione della nuova legge si crei un sistema di censura simile a quello cinese del Great Firewall, che controlla tutti i contenuti alla rete web locale, ed eventualmente blocca quelli sgraditi. Il modello cinese si sta facendo sempre più strada, secondo l’organizzazione non governativa Freedom House, finanziata dall’amministrazione statunitense, che a novembre 2018 certificava un calo della libertà su internet per l’ottavo anno consecutivo: «Una schiera di Paesi – hanno affermato gli attivisti – si sta muovendo verso l’autoritarismo digitale, abbracciando il modello cinese di censura estensiva e di sistemi di sorveglianza automatizzati», un’affermazione che la Cina definisce «completamente inventata».
Tra chi subisce il fascino del modello di internet cinese ci sono, secondo l’Ong Usa, oltre alla Russia anche il Vietnam e la Thailandia. Pechino, dal canto suo, non fa mistero di voler difendere il concetto di «cyber-sovranità», che promuove annualmente alla Conferenza Mondiale su Internet di Wuzhen, nella Cina orientale, a cui sono spesso invitati ospiti di riguardo anche dall’estero, come il Ceo di Apple, Tim Cook, che ha pronunciato un discorso all’edizione del 2017. La struttura del controllo di internet in Cina vede al vertice il presidente cinese, Xi Jinping, a capo del gruppo guida per il controllo del web, una delle tredici commissioni da lui guidata e che riguardano tutti i gangli vitali dello Stato.
Al di sotto, la regolamentazione del web è affidata alla Cyberspace Administration of China, istituita nel 2014, che aveva al vertice fino al 2017 Lu Wei, successivamente indagato per corruzione e condannato a 14 anni di carcere nel marzo scorso. Ai tempi in cui era zar di internet in Cina, Lu era diventato noto per avere incontrato i manager dei giganti Usa di internet, tra cui Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, censurato dal web cinese assieme a Twitter e ad altri social e siti web. Uno dei principali bersagli delle restrizioni su internet in Cina sono i virtual private networks (Vpn) che aggirano la rete locale e permettono agli utenti di connettersi ai siti web oscurati dalla censura on line. I Vpn sono soggetti a periodiche restrizioni e a un aggiornamento delle autorizzazioni per operare in Cina, anche se difficilmente vengono bloccati tutti insieme, eventualità che avrebbe riflessi negativi sulle operazioni di business con l’estero, sia dal punto di vista dell’operatività delle sedi diplomatiche straniere presenti in Cina che li adoperano regolarmente.
Se la legge firmata oggi da Putin nasce soprattutto da un intento difensivo, la Cina è, al tempo stesso, indirizzata a promuovere una riforma del sistema di governance di internet a livello globale. Al tema è dedicata una sezione del Libro Bianco su Internet pubblicato dal Ministero degli Esteri e dal Ministero della Pubblica Sicurezza cinesi nel 2017. Nella parte dedicata agli obiettivi strategici del documento governativo, la Cina si impegna a «spingere per la riforma istituzionale del Forum sulla Governance di Internet Globale delle Nazioni Unite per metterlo in grado di avere un ruolo più grande nella governance di internet, rafforzare la capacità decisionale, assicurare un finanziamento stabile, e introdurre procedure aperte e trasparenti nell’elezione dei suoi membri e nella presentazioni dei rapporti». Il disegno cinese rientra quindi nel tentativo di una più ampia riforma della governance globale, che vede in prima linea l’economia e la finanza: la cybersovranità è un punto chiave del suo ambizioso progetto di riforma di internet. La Cina si impegna a costruire il consenso a livello internazionale su un ordine nel cyberspazio che sia «giusto e ragionevole» e «si oppone a ogni Paese che usi internet per interferire negli affari interni di altri Paesi». Ogni Paese, al contrario, spiega ancora il Libro Bianco, «ha il diritto e la responsabilità di mantenere la cybersicurezza e di proteggere i diritti legittimi di varie parti attraverso leggi e politiche nazionali».
Fonte : La Stampa