Imbarazzante è il primo aggettivo che mi è venuto in mente oggi al termine dell’udienza per il processo che vede come unico imputato Vitaly Markiv per la morte di Andrea Rocchelli. Ho provato quella strana sensazione che si avverte quando visionato un film questo finisce con un finale che non si comprende. Chi scrive questo articolo conosce abbastanza bene i luoghi ove è morto Andrea Rocchelli ed anche i protocolli militari che vengono osservati nel fronte di guerra russo-ucraino. Mano a mano che scorrevano i minuti e si susseguivano le domande dell’accusa, saliva l’apprensione dei presenti perché sembrava di assistere al classico interrogatorio dove il Pubblico Ministero sembra voler far rilassare l’indagato con domande leggere e fuorvianti per poi colpire quando meno se l’aspetta con la classica domanda che va diritta allo stomaco. Passavano i minuti, passavano le ore e niente. Dopo quasi tre ore di analisi dell’imputato, l’accusa profferiva la fatidica frase “ Vostro Onore, non ho più domande”.
Tutti ci siamo guardati in faccia come a dire “Tutto Qui??”
E’ stata un’udienza irreale, dove si è parlato di tutto, meno di ciò che avrebbe dovuto far emergere l’eventuale colpevolezza di Markiv. Si è parlato di modelli di radio ricetrasmittenti, di Pub, di foto inviate da amici, di neo papà ubriachi, di prigionieri incappucciati, ma mai di chi e come avrebbe potuto uccidere Andrea Rocchelli.
Emblematico il dialogo di due operatori video di fronte a me, il primo dice all’altro “Io non so nulla di questo processo, è la prima volta che sono qui, ma mi sa che sto ragazzo non centra proprio nulla”
Ma vediamo come si è dipanata la giornata.
Alle nove e trenta c’è già una piccola folla di fronte all’ingresso dell’aula. Poco dopo si entra, oggi c’è ressa, ci sono anche i giornalisti RAI ed una folta rappresentanza di ucraini nelle loro tradizionali camicie colorate e molti giovani di Cesura. Tutti pigiati nella mini area destinata al pubblico. Sono un paio di personaggi in giacca e cravatta si lasciano andare a qualche provocazione ma in generale il comportamento è corretto da parte di tutti.
Entra la Corte e Markiv viene fatto accomodare di fronte la Giuria. La prima domanda per lui è che lavoro fa e Vitaly risponde con voce ferma e sicura “Sergente Maggiore della Guardia Nazionale Ucraina”. E’ un buon punto di partenza, ora anche nel processo si è preso atto che Markiv non è un “miliziano” ma un regolare soldato dell’Ucraina. Probabilmente la definizione miliziano la ritroveremo ancora per diverso tempo sui media, media che va ricordato sono rappresentati dalla FNSI (il sindacato dei giornalisti) che in caso di condanna di Markiv riceverà un grosso rimborso. Non è etico per la stampa sperare che una persona venga condannata ma questa è la situazione per cui è normale che il mondo dei media continui a riportare le notizie in maniera distorta.
Poi è la volta del Pubblico Ministero
Propone a Markiv una serie interminabile di filmati e fotogrammi nel tentativo di fargli dire dei nomi di suoi commilitoni presenti nelle immagini. Markiv fa notare che può fare i nomi solo di persone ora in congedo e non più attive in missione. Per fare gli altri nomi dovrebbe avere il permesso dal suo Comando cosa che nessuno ha richiesto. Markiv è ancora oggi un soldato della Guardia Nazionale Ucraina.
Sono tutti filmati tratti da Youtube, molti dei quali senza alcuna attinenza con la scena del crimine. Iniziano le domande assurde dell’accusa come quando chiede le motivazioni di uno sciopero a Kyiv di alcuni appartenenti alla Guardia Nazionale di un plotone diverso da quello di Markiv, o come quando esibisce la foto di un “presunto prigioniero” che sarebbe stato seviziato da Markiv (che lo ha fotografato) scoprendo poi che era un suo commilitone che la sera prima si era ubriacato in quanto festeggiava la notizia di essere diventato padre.
Gli vengono proposti filmati e foto delle sue missioni del 2016 e 2017 in particolare presso Debaltseve e anche qui attinenza ai fatti del 2014 praticamente zero. Gli viene chiesto una prima volta del perché della foto di militari ucraini con una bandiera nazista. Markiv spiega che tale foto gli è stata inviata su Viber e che nell’occorso i soldati ucraini si erano fatti la foto con il “bottino di guerra” sottratto ai filorussi, comprese munizioni e altre documentazioni. Possiamo prevedere che su questa immagine sui media verranno date le versioni più disparate, ma sicuramente non quella che dovrebbe essere riferita dall’informazione e cioè la risposta di Markiv.
Gli viene chiesto di un prigioniero incappucciato e Markiv spiega che quel prigioniero doveva essere trasportato in altro Comando sempre sulla linea del fronte e quindi per motivi di sicurezza le procedure prevedono che lui non possa vedere il luogo ove è trasportato in quanto base militare, obiettivo sensibile. Attinenza con la morte di Andy, zero.
Finalmente arriva una domanda relativa alla morte di Rocchelli e viene chiesto se il video da lui girato è stato girato dalla sua postazione. Markiv risponde di no, si trattava di una postazione a circa 150 metri dalla sua, posta ad un livello più in alto. Si trovava li in quanto in servizio di “riserva”.
Entrano prepotentemente nel processo (finalmente) i termini tecnici militari. Sino ad oggi sembrava ai più che si stesse trattando di un omicidio avvenuto in una qualsiasi città italiana. Ma la collina di Karachun non era un posto qualsiasi, era la postazione avanzata dell’esercito ucraino di fronte alla città di Sloviansk, al tempo occupata dalle milizie filorusse. Si parla di guerra, di bombardamenti, di commilitoni morti e feriti, di mine, di prigionieri di guerra, di lancia granate. Markiv spiega passo passo i compiti del suo plotone, le gerarchie da seguire, i protocolli.
L’accusa continua a fare confusione, propone immagini di soldati dell’esercito regolare ucraino, scambiandoli per i membri della Guardia Nazionale. Sempre più in confusione, sempre più in panico.
Il Pubblico Ministero richiede nuovamente “Quella era la sua postazione?” Markiv con voce decisa risponde “No!”
L’analisi dell’imputato diventa surreale quando gli viene chiesto perché aveva in dotazione una radio ricetrasmittente come se in quell’aula nessuno sapesse che i soldati comunicano via radio e non con i segnali di fumo. Markiv non si sottrae e spiega che le radio vengono tenute nelle postazioni (sarebbe bastato visitare almeno una volta una trincea al fronte per rendersene conto, sono cose che purtroppo su Google non si trovano) con due pacchi di batteria e utilizzate da chi è di turno. A questo punto si pone un’altra questione surreale, gli viene chiesto se esiste una tabella dei turni e come mai una persona finite le sue quattro ore di turno magari si trova ancora nella buca assegnatagli. Una sconnessione completa con la realtà, viene scambiata la guerra con la routine dell’ufficio, come se un soldato che si trova nella sua postazione, al termine delle quattro ore di turno, se sotto attacco, potesse dire “Beh sapete che vi dico? Io ho finito il mio turno, timbro e vado a casa”.
L’esame del PM si conclude con una domanda sibillina “Allora signor Markiv, secondo lei è una congiura quella messa in atto da tutti noi, voglio dire se tutti noi diciamo che lei è colpevole e lei dice di no ci spiega perché diciamo questo? Abbiamo deciso di congiurare contro di lei?” (ndr: le parole potrebbero essere leggermente differenti ma il significato è questo).
L’avvocato Della Valle sbotta segnalando che la domanda non ha nessun senso, che si sta chiedendo a Markiv le motivazioni delle dichiarazioni di persone terze. La Presidente della Corte si altera e sospende l’udienza.
Passano quaranta minuti poi si ricomincia.
Intanto in aula è arrivato Fabrizio Gatti dell’Espresso, parla fitto fitto con l’Avvocato Ballerini e con i genitori di Rocchelli. Scambia qualche parola anche con Pisapia e con il Pubblico Ministero. Ci incrociamo con gli occhi più di una volta, la sensazione è che sappia chi sono, ma non fa alcun cenno di intesa volto ad iniziare una conversazione. Va detto che comunque non sarebbe stato ne il luogo ne il momento giusto per scambiare quattro chiacchiere e confrontarsi sul suo ultimo articolo dove ci dipingeva come un’accolita di neonazisti. Non so se questa volta potrò essere scambiato per un membro dell’ISIS visto che la levataccia non mi ha permesso di farmi la barba e mi sono presentato con un pò di peluria sul viso.
Oggi quei “neonazisti” erano nuovamente in aula, nella foto ci sono tutti, forse questa immagine (quella di copertina) vale più di tante righe scritte, ognuno può farsi un’idea. Le sue teorie lombrosiane che associano queste pericolose madamine in Vyshyivanka agli eredi del terzo Reich si commentano da sole. Va detto che però lui scrive su un famoso settimanale ed ha la possibilità di accedere al grande schermo pertanto non ci facciamo illusioni, il nostro piccolo portale non entrerà mai in così tante case e di conseguenza gli italiani grazie al giornalista si convinceranno che gli ucraini sono una manica di nazisti, tanto nell’era della caccia allo straniero male non fa alimentare questi stereotipi.
Il Pubblico Ministero dice di non avere altre domande. Non si parla del documento falso presentato due settimane prima, solo un accenno quando chiede a Markiv come si scrive il nome del Comandante della Guarda Nazionale e questi risponde Allerov con due elle (ndr. sul documento falso era scritto con una sola elle).
Inizia il fuoco di fila degli avvocati di parte civile, domande che però riguardano sempre cose per nulla attinenti con i fatti di causa.
Arriva il turno dell’avvocato Ballerini. Tutti si aspettano che spunti l’asso nella manica, la prova principe che inchioderà Markiv, la pistola fumante. Tutti delusi, la Ballerini produce un documento OSCE del 2014 in lingua inglese scaricato da internet nel quale si parla della condizione dei giornalisti nelle zone di guerra del Donbas. In tale documento si faceva riferimento principalmente ai cosiddetti “filorussi” che non andavano tanto per il sottile con i giornalisti (citofonare a Cosimo Attanasio e Danilo Elia per delucidazioni). Torna sulla foto con la bandiera nazista e Markiv per la terza volta deve spiegare i fatti (ovviamente con nessuna attinenza a Rocchelli) , l’avvocato non riesce a spiegarsi come mai c’è una bandiera ucraina appesa e Markiv fa notare che quella è una base ucraina dove i soldati hanno fatto ritorno ed esponevano il bottino di guerra. Siamo sicuri che questo fatto, nonostante spiegato bene per tre volte, verrà ripubblicato con delle fantasiose versioni su qualche media.
La Ballerini cita il bombardamento dell’ospedale di Sloviansk, avvenuto due mesi dopo la morte di Rocchelli a diversi Kilometri di distanza come a dire che l’esercito ucraino è formato da persone crudeli. Lo stesso refrain utilizzato nel 2014 da Vauro quando nascose ai telespettatori che l’Ospedale di Sloviansk era stato evacuato dai pazienti ed occupato e trasformato in caserma dai filorussi. Fu il punto dove i combattimenti furono più aspri perché i cosiddetti separatisti avevano concentrato li tutta la loro potenza di fuoco.
Viene citata una certa “Oksana” che in una intercettazione Markiv descrive come una commilitone particolarmente antipatica che dovrebbe essere sciolta nell’acido. Attenzione a quando parlate male dei vostri colleghi di ufficio, se vi sente la Ballerini potrebbe accusarvi della morte di Rocchelli.
Finisce con una chicca…. Cita una intercettazione di Markiv in cui parlava del “Porter Pub” in cui avrebbe visto all’interno delle immagini inneggianti al neonazismo. Poi chiede al Markiv se è mai stato al Porter Pub per dimostrare che lui è un neonazista che frequenta queste sedi. Per chi non conosce l’Ucraina diciamo subito che il “Porter Pub” è una catena di birrerie diffuse più di McDonalds, l’equivalenza dell’avvocato Ballerini è quindi che se frequentate McDonalds (essendo che in uno di essi è magari stato trovato materiale illegale) siete dei terroristi. Io avendo il Porter Pub sotto casa a Kyiv mi è capitato spesso di vedere partite di calcio sul maxi schermo, ho scoperto che per la Ballerini sono un neonazista. Ora ho capito finalmente il senso dell’articolo di Gatti, effettivamente su queste basi ha ragione lui, mi sono macchiato di questo terribile crimine.
Si termina con le domande della difesa e qui cade l’unico flebile appiglio dell’accusa. Infatti l’accusa si basava sul fatto che Markiv aveva una foto in cui il suo fucile di ordinanza AK74 era montato un visore ottico notturno. bene quella foto era stata in una giornata dove avevano montato un nuovo cannocchiale che era arrivato alla base destinato ad altri militari. La dimostrazione che era stato montato per farsi solo la foto sta nel fatto che dalla foto stessa si evince che montato in quel modo non avrebbe potuto funzionare in quanto quel tipo di arma non è strutturata per quel tipo di dotazione e il cannocchiale era ostruito da altro dispositivo.
Termina l’udienza più attesa, un’udienza in cui mai è stato contestato a Markiv di essere l’assassino di Andy Rocchelli. Termina un’udienza ed inizia la partita forse più importante per l’accusa, quella mediatica. Il processo in aula è perso, ora è giunto il momento di vincerlo in televisione e sui giornali, forse, non avendo in mano nulla meglio giocare un’altra partita su un altro tavolo. D’altronde non siamo nell’epoca delle verità alternative?