BORIS JOHNSON : Ministro degli Esteri britannico
La notte del 22 febbraio 2014, gli uomini più potenti della Russia si riunirono al Cremlino e decisero di sottrarre la Crimea all’Ucraina. In seguito avrebbero fatto notevoli sforzi per dare alla loro decisione una parvenza di legittimità – incluso inscenare un referendum fasullo. Ma quell’incontro tra il presidente Putin e i suoi consiglieri per la sicurezza segnò il destino di un popolo.
È così che la Russia ha sequestrato 10 mila miglia quadrate all’Ucraina, infrangendo un principio essenziale del diritto internazionale: nessun Paese ha il diritto di conquistare un territorio o di ridisegnarne con la forza i confini.
Putin ha formalmente annesso la Crimea alla Federazione Russia il 18 marzo 2014. Quattro anni dopo abbiamo il dovere di ricordare l’enormità di questo gesto e di raddoppiare gli sforzi a tutela dei nostri valori e a sostegno del diritto internazionale. L’accaparramento russo della Crimea rappresenta la prima annessione di un territorio europeo – e la prima modifica ai confini europei – compiuta con l’uso della forza dal 1945.
Gli accordi internazionali infranti dalla Russia sono così tanti che è difficile elencarli tutti. Per citarne alcuni: Putin ha ignorato l’articolo 2 della Carta della Nazioni Unite, l’Atto Finale di Helsinki e il Trattato di Amicizia Russia-Ucraina. Ha inoltre infranto la specifica promessa sottoscritta dalla Russia nel Memorandum di Budapest nel 1994, di rispettare «i confini esistenti dell’Ucraina» e di «astenersi da minacce o uso della forza al fine di minare l’integrità territoriale o l’indipendenza politica dell’Ucraina».
A Putin non è bastata l’annessione della Crimea. Ha alimentato e soffiato sul fuoco del conflitto nell’Ucraina dell’Est, continuando a inviare truppe e carri armati in una conflagrazione che ha già causato più di 10 mila vittime e portato 2,3 milioni di persone ad abbandonare le loro case. Un’ulteriore vittima di questa tragedia è stato il volo MH17. L’aereo di linea fu colpito in volo da un missile lanciato da un’area sotto controllo russo, causando la morte di 298 passeggeri innocenti, tra cui 10 britannici. Dalla Crimea sono emersi nel frattempo rapporti sull’oppressione della popolazione indigena dei tartari e delle molestie nei confronti di chi si oppone all’annessione russa.
Nonostante innumerevoli richiami da parte dell’Assemblea Generale dell’Onu, la Russia continua a impedire l’accesso alla penisola agli operatori internazionali per i diritti umani. La sicurezza di ogni nazione dipende dal principio essenziale secondo cui nessun Paese ha il diritto di conquistare un territorio o di ridisegnarne i confini con la forza. Per questo motivo il destino della Crimea riguarda tutti noi. Abbiamo l’obbligo di affrontare la Russia, in maniera misurata ma risoluta. Finché il Cremlino manterrà il controllo del territorio e gli accordi di Minsk rimarranno inascoltati, dobbiamo continuare a imporre sanzioni, per dimostrare che nessuno, per quanto grande o potente, può smembrare il proprio vicino e infrangere il diritto internazionale senza conseguenze. Al contempo, tenendo fede ai nostri principi, dobbiamo continuare a impegnarci con fermezza e decisione con la Russia, e comunicare in maniera chiara e diretta le nostre preoccupazioni per le azioni del Cremlino. Non vi è contraddizione tra dialogo e deterrenza. Come ho spiegato durante la mia visita a Mosca in dicembre, l’uno può rafforzare l’altra. In qualità di membri permanenti del Consiglio di sicurezza, il Regno Unito e la Russia sono entrambi responsabili per la pace e la sicurezza internazionale.
Dobbiamo continuare ad avere a che fare con la Russia ma con attenzione, senza dimenticare le terribili conseguenze di quella riunione al Cremlino in tarda notte.
Intervista ripresa da La Stampa