Fabbriche di troll russi hanno comprato ads, propaganda politica, viralizzati attraverso una rete di falsi account. E dopo l’azienda di Zuckerberg, ora la Reuters scrive che anche twitter dovrebbe fare qualcosa di analogo
Quando era notte in Italia, Facebook ha prodotto un aggiornamento cruciale del suo report di aprile sulle operazioni di disinformazione (“Information Operations”) condotte da stati e organizzazioni private, ammettendo – come già fatto davanti all’ufficio del Procuratore speciale che indaga sul Russiagate, Robert Mueller – che sul social network, durante le elezioni americane del 2016, si è effettivamente svolta una “information operation”, una operazione di intossicamento e avvelenamento del dibattito pubblico e delle elezioni, molto probabilmente coordinata dal Cremlino, attraverso una società russa (la “Internet Research Agency”) già famosa in passato, che racchiude dentro di sé l’infame fabbrica di troll di San Pietroburgo, e qualche centinaio di account falsi su Facebook.
In sostanza la società russa ha comprato propaganda politica (ads politici) da inserire nel social network usando come meccanismo virale, in prima battuta, una rete di 470 account e pagine Facebook false, collegate cioè a false identità, in sostanza gestite da mani russe, e clusterizzate ingegneristicamente (cioè costruite dentro una architettura a tavolino). Gli ads individuati ammontano a un importo complessivo di 150mila euro – è impressionante come con relativamente pochi soldi si possano fare operazioni di deception non piccole – anche se Facebook non esclude ce ne possano esser altri (non tutte le informazioni fornite al procuratore Mueller sono state ovviamente rese pubbliche).
La novità ultimissima di queste ore è che, secondo Mark Warner, twitter dovrebbe fornire a breve un analogo esame: attività russa potrebbe essere avvenuta in maniera intensa anche sulla piattaforma dei 140 caratteri. La cosa è rivelata dalla Reuters, che cita una dichiarazione del senatore democratico più alto in grado nella commissione del senato sull’intelligence Usa, Warner. Cyber propaganda russa si è mossa alacremente a utilizzare falsi account, account anonimizzati, ossia false personas, dentro una rete di attività che tecnicamente loro definiscono “inautentica” (che non significa, tocca ripeterlo, per forza automatizzata, anzi). Account che spingono, amplificano, viralizzano, alcuni contenuti, o eventualmente alcuni tipi di pubblicità, anche elettorale. Di solito i contenuti sono rivolti a spargere caos, paura anti-immigrazione, xenofobia, accuse (non importa se fondate) di corruzione alle classi dirigenti.
Alex Stamos, il capo della sicurezza di Facebook, ha anche comunicato che un quarto degli ads erano targettizzati, cioè mirati, geograficamente, in aree molto precise (anche se non ha detto se si riferisse agli stati oscillanti americani). Bisogna poi osservare che né Facebook né twitter hanno fornito spontaneamente le informazioni che vi sto riferendo: vi sono spinte da un organo americano che sta indagando – con poteri speciali – sull’interferenza della Russia nella campagna presidenziale del poi eletto presidente Donald Trump.
È più che plausibile che operazioni analoghe siano avvenute nello spazio web di altre lingue, nel mondo dei paesi occidentali. Di certo la Russia è stata attivissima in Germania e in Francia, ma ha condotto mosse accertate anche nello spazio cyber italiano. Sarebbe interessantissimo che il nostro sistema politico – e eventualmente i nostri organi preposti – avessero l’intenzione (se non la forza), di fare le medesime domande che sono state rivolte a Facebook e twitter negli Stati Uniti. È piuttosto interessante, invece, segnalare che le cose vanno spesso in direzione opposta: qualche tempo fa l’uomo che – per conto di Cambridge Analytica – ha raccolto i dati su 30 milioni di ignari utenti Facebook americani è stato infine assunto proprio da Facebook
Fonte : Jacopo Iacoboni La Stampa