Di Massimiliano Di Pasquale su StradeOnline
La crisi ucraina successiva al Maidan ha agito da vero e proprio detonatore per la propaganda russa in Italia. Il successo della narrazione moscovita, che si avvale dei classici metodi della dezinformatsiya sovietica aggiornati all’era del cyberspazio, trova terreno fertile nel nostro Paese grazie a un clima politico-culturale che negli ultimi dieci anni è diventato sempre più permeabile alle letture geopolitiche propagandate dal Cremlino per destabilizzare le democrazie europee.
Quando il 24 maggio 2014, nel suo intervento alla Camera, la deputata del Movimento 5 Stelle Marta Grande chiese al Governo Italiano di impegnarsi in prima persona in Ucraina per porre fine alle atrocità commesse dall’esecutivo di Kyiv – reo, a suo dire, di aver aperto campi di concentramento, di aver massacrato e torturato cittadini russi e di aver tollerato episodi di cannibalismo da parte dei suoi soldati – furono in molti a domandarsi se l’onorevole grillina fosse stata vittima di uno dei più clamorosi fake della propaganda russa o fosse lei stessa un’agente consapevole della dezinformatsiya del Cremlino.
Non solo, infatti, le notizie riportate dalla Grande erano palesemente false, ma la foto mostrata in aula, quale presunta prova delle efferatezze e del cannibalismo delle truppe ucraine, era tratta da un b-movie girato cinque anni prima dal regista russo Andrei Maliukov. Qualche settimana più tardi, in un’intervista rilasciata a Roberta Zunini del Fatto Quotidiano, la deputata si scusò pubblicamente ammettendo che la foto del soldato ucraino “cannibale” era un falso, ma sostenne comunque la validità dell’annessione russa della Crimea usando le stesse motivazioni del Cremlino, ossia la presunta russicità della penisola ucraina e il rispetto della volontà popolare. Peccato che il referendum (come avrebbe confermato qualche mese dopo lo stesso Igor Girkin, tra i principali artefici di quell’operazione militare), oltre che palesemente manipolato nei suoi risultati finali, fosse stato imposto alla popolazione locale con kalashnikov e intimidazioni.
Oggi che la vicinanza del M5S al Cremlino non è più un mistero – negli ultimi mesi anche i media mainstream se ne sono occupati, si pensi agli articoli di Jacopo Iacoboni su La Stampa o al ritratto del grillino Manlio Di Stefano apparso sul settimanale l’Espresso il 20 aprile scorso – è interessante domandarsi come mai il nostro Paese sia diventato uno dei campi d’azione privilegiati della propaganda russa.
Cinque Stelle e Lega Nord – Matteo Salvini ha recentemente siglato a Mosca un accordo di cooperazione e collaborazione con il partito di Putin Russia Unita, al cui congresso aveva partecipato, l’estate scorsa, anche il deputato grillino Manlio Di Stefano – non sono che la punta dell’iceberg di un panorama politico-culturale in cui partiti e movimenti di estrema destra, sinistra radicale, euroscettici e populisti sono attivi nel promuovere un’agenda politica che mira ad allontanare il nostro Paese dalla UE, dalla NATO, dall’euro e ad avvicinarla all’orbita moscovita.
I metodi usati sono quelli caratteristici della disinformazione sovietica d’antan, aggiornati all’era del web e dei social network, quindi, va da sé, molto più pervasivi e pericolosi. Metodi già sperimentati con successo nella campagna elettorale per le presidenziali americane dove la vittoria di Donald Trump è stata influenzata dalla mole di fake news circolate sul conto della sfidante democratica Hillary Clinton.
Perché sia chiaro ai lettori di cosa parliamo, possiamo definire la disinformazione come la “falsificazione intenzionale di dati e notizie al fine di manipolare le percezioni di un bersaglio, influenzarne le decisioni, e indurlo ad agire nel modo desiderato dal disinformatore” (Germani).
Luigi Sergio Germani, che ha recentemente pubblicato un testo, il primo in Italia su questo tema, intitolato Disinformazione e manipolazione delle percezioni: una nuova minaccia al sistema – paese, sottolinea come la disinformazione costituisca una grave minaccia alla sicurezza e alla competitività del sistema-Italia.
“La disinformazione – scrive l’autore e curatore nella nota introduttiva al libro che raccoglie contributi di diversi esperti – è un’arma di lotta politica, militare ed economica adoperata da attori statali e non-statali, la cui potenza ed efficacia viene moltiplicata dalle nuove tecnologie ICT (informatiche e della comunicazione) e dallo sfruttamento del cyberspazio”.
Lasciamo da parte il complesso tema della disinformazione, che meriterebbe una trattazione a se stante, e occupiamoci dell’Italia, paese considerato fino a qualche anno fa dagli analisti internazionali “partner strategico” della Russia al pari di Francia, Germania e Spagna. Mentre la Germania, grazie all’avveduta politica di Angela Merkel, sta riorientando i suoi rapporti con la Russia all’insegna di un “pragmatismo amichevole”, non lesinando critiche alla politica estera di Putin in Siria e Ucraina, l’Italia rischia al contrario di diventare, come Cipro e Grecia, un autentico “cavallo di Troia”.
Per comprendere come mai la propaganda russa sia così forte nel nostro Paese è utile compiere un excursus storico e tornare indietro di qualche anno. Poiché la crisi ucraina ha agito da vero e proprio detonatore, e il cambio di passo nell’intensità della propaganda russa e della conseguente ricettività dell’opinione pubblica italiana alla narrazione moscovita si è avuto in occasione del Maidan di Kyiv, focalizziamo la nostra indagine proprio sull’Ucraina.
Fino alla Rivoluzione Arancione del 2004, l’Ucraina, che aveva conseguito la sua indipendenza nel 1991, risulta pressoché assente dai notiziari televisivi e dalla stampa italiana. L’unica parziale eccezione a questo trend generale è rappresentata dalla rivista geopolitica Limes che a partire dai primi Anni Novanta inizia a pubblicare alcuni articoli sull’Ucraina. Nella stragrande maggioranza di questi scritti il Paese viene presentato come una sorta di appendice della Russia, che prima o poi avrebbe aderito o sarebbe stato costretto ad aderire alla Federazione Russa o, nel peggiore dei casi, sarebbe stato diviso in due parti, una ucrainofona a Ovest, l’altra russofona a Est.
A parte alcune qualificate eccezioni, gli “esperti ucraini” che scrivono su questa rivista sono spesso ex corrispondenti da Mosca dei tempi sovietici o addirittura analisti vicini al Cremlino. Le loro analisi povere e polarizzate – sorta di copia e incolla di articoli provenienti soprattutto da media russi e, in misura minore, da fonti occidentali – testimoniano come in Italia manchino esperti di Ucraina, o piuttosto il fatto che i pochi ucrainisti italiani non vengano consultati.
La prima volta che gli italiani sentono parlare di Ucraina è nel novembre 2004 con le proteste di piazza, passate alla storia come Rivoluzione Arancione. L’avvenimento coglie di sorpresa la maggioranza dei media autoctoni. La scarsa conoscenza della storia e della politica ucraina, unita al fatto che gli eventi vengono raccontati avvalendosi per lo più di informazioni provenienti da televisioni e agenzie stampa russe, dà vita a una narrazione parziale. La situazione è talmente imbarazzante che il Presidente dell’Associazione Italiana di Studi Ucrainistici invia una lettera aperta ai direttori della RAI TV chiedendo una copertura più equilibrata. Se la RAI non fosse stata in grado di inviare un corrispondente a Kyiv avrebbe potuto trasmettere anche informazioni provenienti da televisioni e agenzie di stampa polacche, che avevano corrispondenti in Ucraina, non solo da quelle russe. Nessuno replica a quella lettera aperta pubblicata sul Corriere della Sera.
Il 28 novembre 2004, in un articolo intitolato La Spina di Putin, l’ex ambasciatore italiano a Mosca Sergio Romano afferma che la UE avrebbe dovuto rassicurare Putin che l’Ucraina non sarebbe mai diventata una spina polacca nel fianco dello stato russo. Le aspirazioni democratiche del popolo ucraino non sembrano contare nulla rispetto agli indiscutibili interessi di Vladimir Putin.
Ma per capire il nuovo clima che circonda i media italiani quando nel novembre 2013 scoppia Euromaidan dobbiamo tornare al 2008, anno cruciale per la geopolitica dello spazio post-sovietico.
Il breve conflitto dell’agosto 2008 in Georgia può essere considerato una prova generale di una guerra più ampia. Una guerra ibrida combattuta con diverse armi: azioni militari, terrorismo, disinformazione e cyberterrorismo.
Centrale è il concetto di geopolitica. O meglio il concetto di geopolitica elaborato da consulenti del Cremlino quali Vitaly Tretiakov, Aleksandr Dugin e Vladislav Surkov. Secondo Dugin i piccoli stati non hanno alcun diritto alla propria sovranità, dal momento che la sovranità dipende dalla forza, non dal diritto internazionale. Il diritto internazionale per Dugin è una sovrastruttura di quell’Occidente che lui odia e che vorrebbe distruggere alleandosi anche con il mondo islamico, se necessario, per dar vita a una Grande Russia da Vladivostok a Lisbona.
Questa singolare concezione della geopolitica, come rapporti di forza, viene portata avanti in Italia anche da Limes. A partire dal 2008, con il numero 3 Progetto Russia, la rivista inizia a presentare ai suoi lettori piantine con un’Ucraina smembrata e articoli intitolati “Come smembrare Ucraina e Georgia”. Per la prima volta una nota rivista di geopolitica mette in discussione la legittimità dei confini ucrainifacendo eco alla famosa dichiarazione di Putin “l’Ucraina non è nemmeno uno stato”.
Un anno più tardi sempre Limes pubblica un volume chiamato “Eurasia, il nostro futuro?” che, ad eccezione di un paio di articoli, potrebbe essere considerato un manifesto del progetto eurasiatico. Collaborano a questo numero monografico diversi uomini d’affari e consulenti del Cremlino come Fedor Lukyanov, Aleksandr Medvedev, Aleksey Miller, Vitaly Tretyakov, Mikhail Remizov. Lo stesso anno la Bocconi University Press stampa la versione italiana de La Nuova Guerra Fredda, un saggio di Edward Lucas che analizza in profondità la natura del regime di Putin e sostiene come l’Occidente abbia sottovalutato il pericolo moscovita.
Il libro, che risulterà ex post davvero profetico, anticipando lo scenario di guerra in Ucraina, viene accompagnato da una prefazione di Sergio Romano che critica duramente la tesi di Lucas. Romano accusa Lucas di russofobia e giudica il suo libro una provocazione volta a umiliare la Russia. L’ex ambasciatore, al contrario, loda il nuovo corso della Federazione affermando che gli uomini di Putin sono abili e qualificati perché provengono da un’antica istituzione sovietica: il KGB(1).
Quando nel novembre 2013 inizia la prima ondata di proteste di Euromaidan a Kyiv, in Italia il “template” per una narrazione parziale degli eventi è già pronto. A mano a mano che la situazione a Kyiv peggiora, quello che inizialmente era solo un punto di vista pro-russo, dovuto in parte alla poca conoscenza della politica ucraina, si trasforma in una narrazione Mosco-centrica da cui nessun organo di stampa risulta totalmente immune.
Il Giornale, di proprietà della famiglia di Berlusconi, amico personale di Vladimir Putin, e il quotidiano comunista il Manifesto, nonostante siano ideologicamente su fronti opposti, descrivono gli ucraini che dimostrano a Kyiv come estremisti di destra, o peggio come fascisti. Essi ignorano o sembrano ignorare che la maggior parte di questi sono cittadini comuni che lottano pacificamente, almeno all’inizio delle manifestazioni, contro la corruzione del governo, l’abuso di potere e la violazione dei diritti umani. Quando il 20 febbraio 2014 Olesya Zhukovska, un’infermiera volontaria, viene colpita dai cecchini pro-governativi intorno alla Piazza Indipendenza di Kyiv, Il Manifesto titola sulla sua pagina frontale “Ucraina: l’infermiera è viva. Ed è nazista”.
A parte alcune voci isolate, anche noti storici e filosofi italiani appaiono allineati con la versione russa dei fatti o, nel migliore dei casi, sembrano non preoccuparsi troppo del nuovo imperialismo russo che per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale sta mutando i confini dell’Europa.
In un’intervista al Piccolo di Trieste Massimo Cacciari sostiene che i russi si fermeranno dopo la Crimea e che le preoccupazioni per il resto dell’Ucraina sono infondate. E aggiunge che “la Russia non può cessare di essere sé stessa: una volta puntava a Costantinopoli, oggi si accontenta della Crimea. La Russia è un impero, mica uno staterello europeo. Non è mica l’Italietta”. Il conflitto in Donbas, qualche giorno più tardi, dimostrerà che la previsione di Cacciari è errata.
Una settimana prima dell’inizio della guerra in Donbas, lo storico e medievalista Franco Cardini, intervistato da Libero, definisce Euromaidan un colpo di stato ucraino-polacco orchestrato dagli Stati Uniti e i manifestanti in Maidan Nezalezhnosti dei nazisti.
Quando scoppia il conflitto tra le truppe fedeli al nuovo governo di Kyiv e i separatisti del Donbas la maggioranza dei media italiani è già allineata con la narrazione di Mosca. In molti giornali e pubblicazioni on line il governo di Kyiv viene definito una giunta nazista, utilizzando lo stesso linguaggio della stampa russa.
Si potrebbe proseguire citando altri esempi di disinformazione che si sono succeduti in questi ultimi tre anni, ma il punto chiave è un altro. La narrazione russa veicolata da molti media italiani ha creato terreno fertile per le agende populiste di tutti quei movimenti e partiti che nel nostro Paese premono per l’uscita dalla UE, dall’euro e dalla NATO.
Il ripristino della sovranità nazionale a cui gli elettori di questi movimenti credono, talvolta in buona fede, sulla base della realtà ‘altra’ propagandata tramite bufale e fake news, finirebbe in realtà per aggravare la crisi politico-economica dell’Italia spingendola nell’orbita della Russia di Putin.
Quale sia il grado di vulnerabilità del nostro Paese lo scopriremo solo alle prossime elezioni.
Note al testo:
(1) “È questo il momento in cui la responsabilità della ricostruzione passa a un’altra istituzione sovietica, il KGB. I suoi uomini sono intelligenti e preparati, addestrati dalla loro esperienza. […] Sono quindi particolarmente adatti a restaurare la forza e l’unita dello stato”, pag. XIV. “Temo che dietro questa inutile provocazione si nasconda non tanto il desiderio di riformare la Russia quanto quella di indebolirla e umiliarla…”, pag XVI, Sergio Romano, Prefazione all’edizione italiana di Edward Lucas, La Nuova Guerra Fredda, 2009