Condividiamo il pezzo uscito su StradeOnline scritto da Silvja Manzi e Mauro Voerzio
Glasnost e perestrojka. Trasparenza e ristrutturazione. Le parole d’ordine dell’apertura e del cambiamento sovietico della seconda metà degli anni ’80 sono state oggi sostituite dalla nuova strategia di destabilizzazione del Cremlino: propaganda e disinformazione. Dietro le fake news che stanno avvelenando e compromettendo la vita democratica delle nostre società c’è, infatti, un disegno preciso. Una guerra ibrida, combattuta senza esclusione di colpi.
Bufala o non bufala? E che bufala? Propaganda e fake news sono entrate in punta di piedi nel dibattito politico, in particolare dopo le elezioni presidenziali USA. Ci si è, infatti, resi conto che l’uso organizzato e pervasivo di false informazioni, accompagnato da tecniche informatiche specializzate (come i “bot”), puòinfluenzare le masse e spostare le preferenze di voto in maniera anche sensibile, modificando i risultati elettorali. Ma, posto che una fake news non si autogenera, qual è l’architettura che sta dietro questo fenomeno? Come nasce e, soprattutto, perché? Quanto costa, chi lo orchestra e, in ultimo, a chi giova?
Si può pensare che le cosiddette “bufale”, che quotidianamente si diffondono a macchia d’olio tramite i social network, nascano quasi per caso, frutto magari di cattivo gusto, o di business grazie al fenomeno del “clickbait”. Per i fake a sfondo politico, niente di più lontano dal vero.
Per comprendere la strategia del “fake organizzato” facciamo un salto indietro, nel 2013, quando il Capo di Stato maggiore delle Forze armate russe, il generale Valerij Gerasimov, espone la nuova dottrina militare del Cremlino [in lingua originale qui, in italiano invece qui o qui]:
“Le nuove sfide fanno ripensare alle forme e ai metodi di guerra. Nel XXI Secolo si nota la tendenza a cancellare la differenza tra lo stato di guerra e di pace. Le guerre, ormai, non vengono più dichiarate e quando iniziano si svolgono con differenti schemi. L’esperienza dei conflitti militari, compresi quelli connessi con le cosiddette ‘rivoluzioni colorate’ nel Nord Africa e in Medio Oriente, conferma che uno Stato prospero, nel giro di pochi mesi o addirittura giorni, può trasformarsi in un Paese in guerra, diventare vittima di un intervento straniero, precipitare nel caos, nel disastro umanitario e nella guerra civile”.
Ma questo è il punto più interessante:
“Le stesse ‘regole della guerra’ sono cambiate in modo sostanziale. È cresciuto il ruolo dei metodi non militari per raggiungere obiettivi politici e strategici, che in alcuni casi per la loro efficacia hanno notevolmente superato la forza delle armi. Il focus dei metodi di confronto utilizzati si sposta verso un uso diffuso di misure politiche, economiche, informative, umanitarie e altre misure non militari, realizzate sfruttando le potenzialità di protesta della popolazione. Ciò si completa con i mezzi militari occulti, tra cui la realizzazione di eventi di concorrenza informativa e le azioni delle forze speciali. (…) Vasta diffusione hanno le azioni asimmetriche, che permettono di neutralizzare la superiorità del nemico nella lotta armata. Queste includono l’uso di forze speciali e di opposizione interna per creare un fronte permanente su tutto il territorio dello Stato nemico, nonché azioni mediatiche, le cui forme e i cui metodi vanno sempre più perfezionandosi”.
Gerasimov afferma che la propaganda diventa un’arma vera e propria a disposizione dello Stato, al pari di altri corpi armati; a differenza del passato sovietico, dove l’obiettivo era il fronte interno, oggi la si utilizza per delegittimare e sovvertire Stati esteri. L’uso della disinformazione da parte del Governo russo non ha perciò lo scopo di convincere o persuadere le masse, ma quello di minare le società e di “agitarle”. Una tattica psicologica usata per destabilizzare, disorganizzare e demoralizzare l’avversario. Una guerra ibrida.
L’esempio più recente e vicino a noi è il caso dell’Ucraina, dove la propaganda ha dissimulato l’invasione militare sostenendo per mesi che le truppe russe non erano presenti in Crimea e che gli “omini verdi” erano contadini e abitanti della penisola decisi a combattere per il loro diritto di riconoscersi nella Russia. Lo stesso Vladimir Putin ha recentemente ammesso, in un’intervista televisiva, che il referendum in Crimea era una copertura per istituzionalizzare agli occhi degli europei ciò che, invece, era stato un blitzkrieg militare.
In queste settimane, con l’elezione di Donald Trump, è emerso con chiarezza quanto la propaganda e l’hackeraggio informatico perpetrato da gruppi alle dipendenze della GRU (il servizio di informazioni delle forze armate russe) abbiano condizionato l’elettorato americano; e così, a ritroso, sappiamo anche come abbiano potuto influenzare il risultato del referendum sulla Brexit.
Nelle prossime tornate elettorali che decideranno i destini dell’Unione Europea assisteremo (e lo stiamo già vedendo) a massicce incursioni della propaganda russa negli Stati ove si andrà al voto. Marine Le Pen non fa mistero di essere finanziata dalla Russia, mentre, se ci limitiamo al caso italiano, i frequenti viaggi di Matteo Salvini e degli emissari di Beppe Grillo a Mosca indicano su chi il Cremlino stia puntando per far collassare l’Italia e l’Europa. È poi estremamente significativo il fatto che questi ultimi, così come alcuni opinionisti, nel corso degli ultimi tre anni abbiano avuto una conversione totale rispetto alle politiche di Putin. Un reale “ravvedimento” oppure un cambio di rotta guidato da lauti finanziamenti o dalla promessa di riceverli? Il dubbio è lecito.
Fantasie? Il progetto di sostituire l’Unione Europea con l’Eurasia a conduzione russa non è un’invenzione giornalistica, ma è scritto nei libri di Aleksandr Dugin, filosofo vicino a Putin, responsabile del canale televisivo Tsargrad realizzato appositamente a fini propagandistici, noto e attivo persino in Italia come presidente onorario dell’“Associazione Culturale Piemonte Russia”.
Sul pericolo delle ingenti quantità di denaro (cifre che si avvicinano al miliardo di dollari, frutto anche di riciclaggio di denaro “sporco”) investito dalla Russia per influenzare la politica europea, anche finanziando le opposizioni, il Parlamento europeo ha aperto gli occhi. Nella Risoluzione sulla “comunicazione strategica dell’UE per contrastare la propaganda nei suoi confronti da parte di terzi”, approvata lo scorso novembre, riconosce
“…che il governo russo sta impiegando un’ampia gamma di strumenti e meccanismi, come gruppi di riflessione e fondazioni speciali (ad esempio Russkiy Mir), enti speciali (Rossotrudnichestvo), stazioni televisive multilingue (ad esempio RT), presunte agenzie di informazione e servizi multimediali (ad esempio Sputnik), gruppi sociali e religiosi transfrontalieri (in quanto il regime vuole presentarsi come l’unico difensore dei valori tradizionali cristiani), nonché social media e troll della rete persfidare i valori democratici, dividere l’Europa, raccogliere sostegno interno e creare una percezione di fallimento degli Stati nel vicinato orientale dell’UE; sottolinea che la Russia investe, nei suoi strumenti di disinformazione e propaganda, notevoli risorse finanziarie impiegate sia direttamente dallo Stato sia mediante organizzazioni o società controllate dal Cremlino; sottolinea come, da un lato, il Cremlino finanzi partiti politici e altre organizzazioni all’interno dell’UE, allo scopo di minare la coesione politica, e, d’altro lato, come la propaganda del Cremlino intenda colpire direttamente giornalisti, politici e individui specifici all’interno dell’UE”
e “rammenta le conclusioni dei servizi segreti e di intelligence, secondo i quali la Russia ha la capacità e l’intenzione di condurre operazioni volte alla destabilizzazione di altri Paesi; sottolinea che questo prende spesso la forma di un sostegno agli estremismi politici e alla disinformazione su larga scala nonché alle campagne mediatiche; rileva, inoltre, che tali campagne mediatiche sono presenti e attive nell’UE”.
È quindi acclarato che la campagna di propaganda anti-Unione Europea della Russia costituisca una minaccia per la democrazia e per l’Europa stessa, tuttavia la strategia dell’UE per contrastarla è ancora estremamente debole e le sue strutture, comprese quelle di intelligence, insufficienti e del tutto inadeguate rispetto alla sfida.
Sfida su cui, peraltro, il Cremlino non risparmia. Il grande salto è stato fatto nell’ultimo decennio, sfruttando le nuove tecnologie della comunicazione e rafforzando il sistema dei media tradizionali con la creazione di network tradotti in oltre 30 lingue: i già citati RT e Sputnik (33 edizioni: da quella “international” in inglese a quella vietnamita, e naturalmente quella italiana) pare ricevano ogni anno 500 milioni di dollari dal Governo russo. Poi, a partire dal 2010, è stata creata una rete a supporto della propaganda. Nulla è stato lasciato al caso.
Per diffondere il “verbo” su Internet sono state realizzate le Troll Factory, strutture basate in grandi edifici dove lavorano centinaia di persone, stipendiate, con il compito di diffondere notizie false sui social network e di incunearsi nei gruppi social per creare disturbo. Il contratto pare preveda la produzione di almeno 130 post giornalieri, su tematiche settimanalmente impartite dalla redazione centrale, che possono riguardare, a seconda dei periodi, l’attacco a un personaggio politico specifico o il supporto a quelli considerati “amici”.
Come si osserva, il sistema è caratterizzato da due espedienti principali: la produzione di un gran numero di notizie e canali sui quali veicolare l’informazione; la spudoratezza nell’inventare notizie false. La tecnica è raffinata e “personalizzata”. Varia, infatti, da Paese a Paese e riguarda la politica locale come quella estera. A ognuno la sua propaganda. In Germania tocca il tema caldo dei profughi inventando la notizia della tredicenne stuprata da siriani; in Inghilterra cavalca la Brexit durante la campagna referendaria; in Polonia sottolinea come i valori dell’Europa siano immorali e degradanti; in Italia come le sanzioni contro la Russia producano effetti negativi per l’economia. E così via.
La propaganda, come detto, produce un volume impressionante di informazioni, distribuite e diffuse su un altrettanto impressionante numero di canali: testi, video, audio sono propagati sia attraverso Internet, sui social media e i blog più influenti, sia attraverso i media tradizionali come radio, giornali e broadcasting satellitari. E raggiungono milioni (milioni!) di utenti. Inoltre, la propaganda è continua e ripetitiva. Questo, insieme alla multicanalità, è propedeutico all’assunto che ricevere lo stesso messaggio più volte, da più fonti, è più persuasivo. La ripetizione porta alla familiarità; la familiarità all’accettazione.
Ma non basta. Perché la diffusione è tanto più efficace quanto le fonti vengono ritenute credibili, autorevoli, affidabili. E quindi viene creata preventivamente, nei Paesi target, una “struttura di endorsement” che prevede l’utilizzo di giornalisti, politici, scrittori, analisti, siti web, associazioni culturali, centri di rappresentanza… Nel nostro Paese negli ultimi due anni sono fiorite associazioni di questo tipo, il più delle volte addirittura con l’avallo – intenzionale in alcuni casi, inconsapevole in altri – delle autorità locali e l’ausilio di luoghi istituzionali.
Un altro vantaggio della propaganda, visti anche i mezzi finanziari di cui dispone, è la rapidità nell’amplificare in modo esponenziale gli eventi, falsi o falsificati; i propagatori di fake sono straordinariamente reattivi e spesso trasmettono per primi la “notizia”, ovviamente distorta. L’impegno è premiato dal risultato. Un individuo è più propenso ad accettare le prime informazioni ricevute su un argomento, divenendo lui stesso diffusore attivo della notizia; solo una minima parte degli utenti dell’informazione ha tempo e voglia di verificare i fatti e le affermazioni citate. Il resto vien da sé. Le notizie inizialmente assunte come vere, anche se successivamente vengono ritrattate o se ne viene dimostrata la totale falsità, continuano a vivere nella memoria delle persone e a influenzare il loro ragionamento, anche inconsciamente.
Per alimentare e guidare questo fenomeno, sono stati realizzati news agency e siti di “controinformazione” o di informazione locali (fulgido esempio il famigeratoImolaOggi), che riprendono e confermano la “veridicità” delle notizie messe in circolazione. La catena è sempre uguale. La notizia nasce su una delle piattaforme principali, Russia Today o Sputnik, e a stretto giro viene rilanciata dai soliti siti.
Nel caso italiano, molti di questi risultano riconducibili alla Casaleggio Associati e al M5S: l’inchiesta di BuzzFeed News, realizzata dai giornalisti Alberto Nardelli e Craig Silverman, mostra come i siti legati al Movimento di Grillo e Casaleggio, quelli ufficiali e quelli apparentemente indipendenti, diffondono sistematicamente le notizie false provenienti da Mosca. Altro aspetto della diffusione virale è quello per cui la notizia, una volta creata, ripresa dalla struttura e rilanciata sulle piattaforme, dopo poche ore viene cancellata all’origine. Il link della fonte risulterà un messaggio “404” (documento non trovato). Il motivo è disarmante: le fonti, per essere ritenute valide, devono essere citate, ma raramente vengono controllate.
Rispetto a questo arsenale, il debunking diventa una missione apparentemente impossibile (senza considerare che i “cacciatori di bufale”, una volta riconosciuti, vengono intimiditi e minacciati). Eppure le fake news seguono sempre lo stesso schema, e quindi stabilire dove è nata una notizia, da chi è stata ripresa e divulgata, da chi vengono gli endorsement, aiuta a identificarla come una notizia creata ad arte, magari lontano da noi, con l’obiettivo, a questo punto evidente, di creare danni alla nostra società. Conoscere le tecniche utilizzate dalla propaganda ci aiuta a comprendere che è l’Europa, e tutto ciò che essa significa, a essere sotto attacco.
I fake si diffondono come un virus inoculato nelle nostre democrazie, allo scopo di destabilizzarle e farle ammalare irrimediabilmente. Il chi, il perché e il come l’abbiamo capito. Ora occorre che l’Europa – e ciascuno Stato europeo – adotti antidoti e contromisure urgenti, sostenute da strutture, finanziamenti adeguati e da una intelligence coordinata.
È necessario contrastare un fenomeno che rischia di precipitarci velocemente in un periodo nel quale a mettere in crisi settant’anni di pace non sarà l’invasione di un esercito straniero, ma saranno le nostre stesse democrazie, già precarie e malconce, a collassare, erose giorno dopo giorno da una guerra invisibile e sotterranea che toglie loro credibilità, speranza, fiducia e che spinge i cittadini verso il buio di nuovi nazionalismi e totalitarismi.