Internet e le nuove tecnologie hanno aperto enormi possibilità alla propaganda, governativa e no. In questo contesto studiosi quali Evgenij Morozov hanno analizzato gli sforzi statali, in particolare dei regimi non democratici, per soffocare le potenzialità della Rete e supportare le proprie posizioni, trasformando Internet in «spinternet». Tra le tecniche più impiegate figura l’astroturfing, la creazione artificiale di contenuti e “voci” a supporto di un prodotto, un tema, un personaggio. Nato in ambito economico ben prima d’Internet e oggi pratica commerciale scorretta, conosce nell’èra digitale un boom in ambito politico, al fine di simulare un diffuso supporto verso una policy, un regime o un’ideologia. A questo scopo agiscono appositi soggetti ingaggiati e retribuiti per produrre massicciamente contenuti filogovernativi, che possono prevedere il supporto alle posizioni ufficiali o il dissenso verso le opposizioni.
Tra gli attori che svolgono massicciamente quest’attività figurano Cina, Federazione Russa e Iran. Il caso cinese era, fino a tempi recenti, quello più noto, anche per via dalla magnitudine dello sforzo governativo. Il Partito ha, infatti, creato una vera e propria legione di supporter che ammonta, secondo varie stime, a centinaia di migliaia d’addetti, che sommergono la Rete di commenti filogovernativi e antidemocratici. Quest’esercito è stato definito il «partito dei 50 centesimi»: la retribuzione, in centesimi di yuan, per ogni commento inserito sui siti web, social network o forum. Accanto a questa pratica agisce la più rodata censura, che però non è altrettanto efficace, poiché esistono varie possibilità per gli utenti più o meno esperti d’aggirarla.
Costatando questo dato e nell’impossibilità d’applicare una censura palese, a Mosca hanno scelto una strada diversa. Il governo ha scartato l’ipotesi di vietare massicciamente e direttamente i contenuti, mantenendo però una censura indiretta, attraverso il ritiro delle licenze, persecuzioni giudiziarie o burocratiche, intimidazioni, e attacchi informatici. Le autorità sono ricorse a una serie di strumenti in grado di produrre una sorta di censura inversa, per saturazione degli spazi di confronto. In questo quadro s’inserisce la creazione e disseminazione, da parte di varie categorie di soggetti (privati sotto contratto, manodopera politico-ideologica, apparati governativi, ecc.), d’informazioni secondo le logiche dell’astroturfing: a sostegno del Cremlino o mirate a depotenziare i flussi informativi sgraditi. Flussi che possono essere esteri (in particolare, occidentali) o domestici, di quelle che sono percepite come le “quinte colonne” dell’Occidente, cioè le opposizioni, in particolare quelle liberaldemocratiche. Il contesto russo vede, infatti, un vasto ricorso a tattiche volte a screditare le voci di dissenso o “seppellire” le informazioni sgradite (per es. quelle provenienti dalla stampa internazionale) sotto una coltre di contro- e disinformazione, saturando gli spazi disponibili e costituendo un quasi-monopolio informativo. Una componente delle più ampia strategia “anti-rivoluzioni colorate” ideata dagli ideologi e dagli spin doctor del Cremlino, i cosiddetti political technologist.
Dal punto di vista “privato”, sono impiegate strutture, le «fabbriche dei troll», nelle quali vengono prodotte in massa le voci del consenso, allineate alle posizioni ufficiali. A queste strutture, legate a figure direttamente o indirettamente connesse alla leadership, si affiancano le voci espresse dagli ambienti politici vicini a Russia Unita. L’organizzazione giovanile filogovernativa Naši svolge, tra le altre attività (propaganda tradizionale, scuole estive antioccidentali, attacchi informatici ai siti dei dissidenti, attività paramilitari in preparazione a scontri con gli oppositori, ecc.), vaste attività di creazione artificiale di contenuti online, com’è stato svelato dalla pubblicazione di documenti interni, compreso il relativo tariffario. Naši rappresenta quindi non solo l’organizzazione giovanile del partito, lautamente finanziata dal governo e dalle suecorporation, ma anche una parte del suo apparato propagandistico, impegnato a screditare gli oppositori con una vasta gamma di “sporchi trucchi” e attaccare fisicamente o ciberneticamente le voci di dissenso.
Dal punto di vista governativo, accanto alle attività di minuzioso controllo della Rete svolte da varie agenzie, soprattutto tramite il sistemaSORM (da applicare per legge su ogni server degli ISP), si affianca un vasto impegno informatico repressivo. Inoltre, varie altre burocrazie, tra cui le agenzie d’intelligence (l’FSB, ma anche l’SVR, il servizio che dovrebbe operare all’estero), possiedono strumenti e capacità di disseminare contenuti a supporto dell’agenda delle élite e per “formare” l’opinione pubblica. Tasselli del più ampio quadro di restrizione degli spazi d’informazione, completata dall’ormai pressoché totale controllo dell’intero sistema mediatico, in particolare televisivo (fonte per oltre il 90% della popolazione, secondo i dati del Levada-Center).
Recentemente i media internazionali hanno posto una particolare attenzione sulla scoperta di una fabbrica dei troll nella periferia di San Pietroburgo, che con centinaia d’addetti si occupava di produrre profili falsi, contenuti e commenti per siti web della grande stampa internazionale, portali online, forum e social network. I “delatori” Lyudmila Savchuk e Marat Burkhard, ex impiegati di questa struttura, hanno raccontato nei dettagli il funzionamento di questi apparati d’orwelliana memoria, che mirano a propagandare le posizioni del Cremlino,influenzare il dibattito online e trasmettere la sensazione di un vasto supporto (a casa e all’estero) per la Federazione. L’«Internet Research Agency» copriva, infatti, in realtà un’enorme macchina propagandistica con centinaia d’addetti in grado di confezionare falsi profili e una vasta mole di contenuti contraffatti, materiale patriottico o pro Cremlino, e impiegare tecniche raffinate, come fingersi giornalisti o agire con elaborate tattiche di squadra. Agli addetti erano attribuite determinate quote da rispettare, venivano sottoposti allo scrutinio dei contenuti e percepivano una lauta ricompensa, se si comparano le retribuzioni con gli standard vigenti nella Federazione. Tra le condotte adottate, retoriche nazionaliste o sovietiche, teorie della cospirazione, toni aggressivi, offensivi, razzisti e antisemiti. Tra i contenuti impiegati, presumibilmente confezionati ad arte, anche i demotivator da diffondere in modo virale, stoccati in appositi siti web.
Esempi d’attività portate avanti dai commentatori retribuiti sono il supporto delle posizioni del governo in materia di politica domestica e estera, il discredito degli oppositori, l’attacco alle politiche estere dei Paesi sgraditi (soprattutto quelle europee e statunitensi) e violenti attacchi all’Alleanza Atlantica. Il picco recente ha evidenziato campagne mirate in merito all’Ucraina e alla Siria, con l’attivo supporto delle posizioni del Cremlino nelle relative crisi e guerre. Tra le attività più diffuse, la creazione di commenti negativi su Kiev, Washington, Bruxelles; il sostegno all’annessione della Crimea; la denuncia di truppe e macchinazioni della NATO; l’opposizione alle sanzioni occidentali a Mosca; il sostegno alle improbabili teorie circa l’abbattimento del volo MH17 o l’assassinio degli oppositori. Altre operazioni possono prevedere la “persecuzione” degli opinionisti sgraditi, la promozione d’eventi propagandistici o attività più sovversive contro gli avversari, quali la creazione d’allarmismi o i tentativi d’innalzare la tensione razziale negli Stati Uniti (come documentato da Adrian Chen). Campagne scientificamente organizzate che, nate in ambito domestico come costruzione di una narrazione filogovernativa e antirivoluzionaria, sono da tempo ampiamente impiegate anche all’estero, sempreché sia possibile tracciare una linea di demarcazione nazionale per il contesto d’Internet.
Difficile valutare pienamente scopi ed efficacia di queste attività. Alcuni hanno ipotizzato che la diffusione massiccia di questi contenuti riesca a modificare almeno in parte le credenze degli utenti che ne vengano in contatto, soprattutto se meno attrezzati culturalmente o riguardo ai temi trattati. Stando a vari studi, l’impiego di commenti violenti e/o offensivi è in grado di modificare la percezione degli utenti circa il contenuto degli articoli stessi, soprattutto in senso negativo. Secondo l’esperto Peter Pomerantsev l’obiettivo è, nell’impossibilità d’applicare la censura alla Rete, creare una sorta di “censura inversa”, che toglie spazio alle voci dissidenti e satura gli spazi. Uno sforzo mirato al danneggiamento degli spazi d’informazione online tramite la moltiplicazione di rumors, disinformazione e teorie della cospirazione. La redazione del Guardian ha da tempo denunciato l’evidente campagna orchestrata ai suoi danni, con un numero del tutto sproporzionato di commenti che interessano tutti gli articoli inerenti le questioni scottanti per il Cremlino. Fino a 40.000 al giorno, mediante insulti e violenza causano serie difficoltà ai moderatori. Gli effetti sono, infatti, concretamente percepibili da tempo, considerando quanta parte degli spazi virtuali è colpita da questo genere di contenuti, con ricadute consistenti, come dimostra la regressione d’alcune libertà quali la possibilità di commentare le notizie su un numero crescente di siti Internet. Non è infine da escludere che tecniche più raffinate prendano di mira analisti e commentatori specifici al fine d’influenzarne le opinioni e gli scritti, o che vaste ma artificiose movimentazioni del traffico online (come possono testimoniare gli indicatori delle visualizzazioni o delle condivisioni) siano impiegate per modificare le scelte editoriali d’alcune fonti. In fin dei conti, nonostante si tenda adimenticarlo, nei campi delle attività d’influenza, propaganda e disinformazione l’Unione Sovietica godeva di un’expertise unica nel suo genere.
Il profilo che ha destato la preoccupazione di un sempre maggior numero d’analisti è non a caso quello del potenziale impiego quale strumento di propaganda in un’ottica di destabilizzazione e sovversione, come ampiamente emerso in occasione del conflitto in Ucraina. Recentemente il tema della propaganda internazionale della Federazione Russa è stato ampiamente trattato, spesso inserito in quella che è stata definita guerra ibrida o non-lineare. In questo contesto, il trolling online assume significati in termini di politica estera e militare. Vari specialisti hanno da tempo posto l’attenzione su questo fenomeno quale parte integrante delle tecniche di guerra informativa (information warfare) e cibernetica della Federazione. Questo strumento è, infatti, massicciamente impiegato in un gran numero di Paesi, tra cui quelli baltici, particolarmente vulnerabili agli strumenti sovversivi e ibridi a causa delle fragilità sociali latenti. Anche la NATO s’è occupata dell’argomento, soprattutto attraverso i suoi centri d’eccellenza che si occupano di comunicazione e guerra cibernetica, producendo alcuni studi rilevanti, mentre varie forze armate si stanno dotando delle capacità di “combattere” sui social network.
Come dimostra il recente boom nell’impiego di queste tecniche, con potenziali ricadute in termini politici, bellici e di destabilizzazione, la pratica è entrata a pieno titolo nell’ambito della propaganda e della politica estera, aprendo nuove possibilità a dinamiche di manipolazione tecnologica e psicologica ancora poco note. Inoltre, s’è da più parti evidenziata la necessità di proteggere Internet e il giornalismo da questa minaccia, che pone interrogativi sulla tenuta dei sistemi aperti di fronte alla disinformazione moderna, ma anche sul grado di realtà o artificiosità d’alcune dinamiche della Rete (interazioni, percezioni, ecc.). Come ha rilevato Anne Applebaum, l’impiego di commentatori pagati risulta, purtroppo, uno dei validi motivi per «evitare di leggere i commenti».
di A. Pandolfi su The Fielder